Salvini ora pensa di chiedere una proroga di Quota 100

Valerio Valentini

L'azzardo politico ("Lasciamo che sia la sinistra a difendere la Fornero") è anche contabile. Il sottosegretario leghista Durigon prova a indicare la via meno onerosa: 400 milioni, ma è cifra poco credibile. Draghi e Franco guardano all'Europa

Oltre che contabile, l’azzardo è politico. Perché insomma, “se noi proponiamo di difendere la nostra riforma delle pensioni, o comunque di modificarla il meno possibile, poi toccherà agli altri, alla sinistra, dover farsi carico di chiedere un ritorno alla legge Fornero”. Coi suoi collaboratori, Matteo Salvini la mette giù così, e cioè un po’ grossolanamente. E però ai vertici della Lega l’idea inizia a circolare davvero: “Perché non chiediamo un anno o due di proroga di Quota 100?”. I conti, è toccato a Claudio Durigon provare a farli. E il sottosegretario all’Economia, nel tentativo di rendere sostenibile la proposta, ha individuato anche una scappatoia: calcolare cioè la portata della riforma proporzionandola al minor tiraggio già registrato negli ultimi tre anni. Durante i quali, anche stando ai dati della Cgil, Quota 100 è costata solo (si fa per dire) 14 dei 21 miliardi preventivati nella legge di Bilancio del 2018, quello del 2,4 per cento e della festa sul balcone di Palazzo Chigi. E dunque, con una stima il più possibile al ribasso, si potrebbe sostenere la proroga stanziando appena 400 milioni per il 2022, e poco più di un miliardo nell’anno seguente.

 

Proiezioni che paiono un poco irrealistiche, negli uffici del ministero del Lavoro, se è vero che 440 milioni, seguendo le tabelle elaborate la scorsa settimana dall’Inps, costerebbe la più severa delle alternative allo studio, basata sostanzialmente sull’estensione dell’ape sociale. Ipotesi da cui in effetti non dispiacerebbe ripartire neppure ad Andrea Orlando, che finora ha atteso che si definisse il quadro sulla riforma degli ammortizzatori prima di aprire un nuovo cantiere. Ma l’impegno del capo delegazione del Pd al governo, almeno a giudicare dalle prime riunioni ristrette svolte a Via Veneto, starebbe nell’introdurre dei percorsi di differenziazione che garantiscano una previdenza agevolata ai lavori gravosi e logoranti, e che tenga anche conto delle carriere caratterizzate da scarsa continuità contributiva. Tutte questioni che Quota 100 semplicemente aggirava.

 

Come che sia, una soluzione va trovata. Perché la misura cara a Salvini scade a dicembre, dopo una sperimentazione triennale che ha evidenziato il fallimento del prospettato ricambio generazionale  (“Tre giovani per ogni pre-prensionato”, giurava il leader del Carroccio: in realtà il turn over s’è fermato al 40 per cento). E il non detto assai diffuso è che alla fine, nel vociare inconcludente della politica, la responsabilità di trovare una soluzione venga demandata a Mario Draghi e al ministro dell’Economia Daniele Franco. I quali, a ben vedere, su Quota 100 le intenzioni le hanno chiare, almeno a fidarsi di quel che hanno messo, nero su bianco, nel Pnrr, dove è indicato l’impegno preso con Bruxelles “al fine di ridurre il peso delle pensioni di vecchiaia nella spesa pubblica e creare margini per altra spesa sociale e spesa pubblica favorevole alla crescita”. Non esattamente una proroga di Quota 100.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.