L'intervista

"Anche i filosofi sono imbecilli". Parla il filosofo Maurizio Ferraris

Carmelo Caruso

Le polemiche di Cacciari e Agamben contro il green pass e quelli che straparlano di liberta. "Sono tutti no pass ma nessuno no tax. Non è che hanno paura delle Finanza?". Intervista all'autore de "L"imbecillità è una cosa seria", Maurizio Ferraris

Roma. Adesso parliamo di imbecillità che come scrive il filosofo Maurizio Ferraris è una cosa seria (ne ha fatto un libro per Il Mulino). La materia è così complessa che questo scambio di opinioni avviene sotto forma di domande e risposte scritte. Con l’imbecillità è giusto fare le cose per bene. Professore. Voi filosofi siete un po’ imbecilli? Ci fa un elenco di pensatori soggiogati da questo piacere? “L’elenco sarebbe lungo, per cui mi limito a un nome: me stesso. In più di una occasione mi sono comportato da imbecille, con una frequenza che mi ha indotto a pensare che lo sia, anche se, spero, meno di altri. L’imbecillità è una condizione generale dell’homo, che si fregia indebitamente del titolo di “sapiens” (e questo solo perché ha avuto la meglio su Neanderthal), un basso continuo interrotto da rari colpi di genio”.

 

Ben detto. Partiamo dai fondamentali. Lei è un filosofo no vax? “Mi sono vaccinato con l’entusiasmo di uno sperimentatore, e involontariamente lo sono stato due volte, perché come tutti sono stato una cavia ma, in particolare, per errore, dopo una dose di AstraZeneca me ne hanno somministrata una di Pfizer”. Filosofo eterologo. Interessante. Un quesito: perché sta passando l’idea che opporsi al vaccino è una roba da illuministi? “Ma perché insiste sui filosofi? Le piazze non sono piene di filosofi ma di persone convinte che la libertà si difenda rifiutandosi di osservare le norme dello stato. Ci si domanda perché fra questi libertari non ci sia nessuno che si dichiari non solo no pass e no vax, ma anche no tax, cosa che in effetti è usale per molti nostri connazionali. Se non lo fanno è probabilmente perché temono di essere riconosciuti, sopravvalutando le capacità inquisitive della Finanza”. Le sue parole sono balsamo. L’imbecille non deve quindi spaventarci? “Non vorrei essere frainteso, l’imbecillità è davvero una cosa seria. Basti dire che ciò che i complottisti attribuiscono a entità numinose e fatali, a disegni diabolici, dipendono dall’imbecillità umana. Pensi a quelli che dicevano, all’inizio, che il virus era un complotto americano contro la Cina, mentre oggi molti sono inclini a credere (e io non mi sento di escluderlo) che un imbecille a Wuhan si sia lasciato scappare un virus”.

 

Non la vogliamo contrapporre ai suoi colleghi Massimo Cacciari e Giorgio Agamben ma che effetto fa, nel loro caso, finire citati nei comizi di Gianluigi Paragone? “Imbecille sì, ma solo fino a un certo punto. È ovvio che lei mi vuole contrapporre ai miei colleghi, con i quali non concordo su questo punto, così come su altri.  Tuttavia, ho imparato molto da Cacciari e il più delle volte mi trovo d’accordo con lui, mentre non sono mai stato d’accordo con Agamben. Il gioco delle opinioni funziona così. Una volta che una affermazione è nello spazio pubblico, ognuno ne fa l’uso che vuole, e non credo che il rimedio consista, come proponeva Platone, nel vietare la scrittura”. Ci sembra che lei si sia meritato il titolo di filosofo. A questo punto forse occorre un sindacato dei filosofi con la ‘f’ maiuscola. Non crede? “Per carità, non oso pensare ai risultati… trame di “Filosofia democratica” per controllare i concorsi a cattedra, sfilate con trombe e bandiere per la riduzione del tempo di meditazione al grido di “Pensare poco, pensare tutti!”, ricorsi al Tar per riabilitare Don Ferrante…”. Che imbecillità che abbiamo appena detto. Saluti.

 

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio