il retroscena

Siena, con vista Quirinale. Così Renzi e Letta preparano la tregua

Intanto scoppiano i malumori a destra. FdI: "Salvini non vuole vincere, sennò candideremmo il sindaco di Siena"

Valerio Valentini

Per le suppletive toscane, Iv sosterrà il segretario dem. Ma il senatore di Scandicci alza la posta: "Il Pd non potrà fare a meno di noi per il Colle. E sul 2023, bisogna scomporre per ricomporre nel centrosinistra". Calenda invece tira dritto e pensa a una candidatura centrista

Sanno entrambi che l’accordo si farà, che a nessuno dei due conviene davvero rompere. E del resto, se Enrico Letta ha sbuffato d’insofferenza lunedì sera davanti alla nota bellicosa firmata dalla segretaria regionale dem Simona Bonafè contro gli ex amici di Italia viva, non è solo per i difficili equilibri sul territorio, che pure contano. Il problema è che da Siena, e dall’intesa intorno alle suppletive nel collegio cittadino, passano anche i destini dei due leader e l’esito delle loro sfide future. Ed è soprattutto pensando a quelle, infatti, che Matteo Renzi ha deciso di rinunciare al grande smacco nei confronti di Letta. Anzi, chi lo conosce bene giura che fin dall’inizio quelle chiacchiere che l’ex premier di Rignano si lasciava sfuggire coi  senatori del Pd (“Guardate che noi Enrico non potremo sostenerlo a Siena, visto come ci tratta”), servivano più che altro ad alimentare quel clima di alta tensione che è da sempre l’atmosfera che il fu rottamatore predilige quando deve arrivare a un accordo.

 

In fondo, Renzi è convinto che Letta abbia tutto l’interesse a ricucire con lui. “Perché alla conta decisiva per l’elezione del  presidente della Repubblica, il Pd non può arrivarci avendo un unico asse col M5s, che è peraltro un asse assai instabile a giudicare dalle zuffe tra Grillo e Conte e tra Conte e Di Maio”, spiega il senatore di Scandicci ai suoi confidenti. Ai quali  già da tempo prospetta il nome che, secondo lui, potrebbe essere quello attorno a cui cucire un’intesa trasversale e ampia: “Pier”, dice. Intendendo quel Pier Ferdinando Casini che in verità si schermisce, appena si accenna alla  corsa al Colle in sua presenza. Poi c’è Marta Cartabia. Anche quello della Guardasigilli è un profilo adatto al gioco grande che ha in mente Renzi: utilizzare il rodeo intorno al Quirinale per sbrindellare la tela rossogialla e spostare lo sguardo del Pd verso il centro. Anche perché, e qui si viene al secondo corno del problema, l’altra scadenza a cui guardare è quella del 2023. “Ci si arriverà con un quadro del tutto diverso”, è la riflessione di Renzi, che predica la necessità di “scomporre per ricomporre”, ridisegnando completamente il quadro del centro e del centrosinistra intorno al centro di gravità: “Mario Draghi, qualunque cosa faccia, resterà il riferimento. Per questo il Pd non può legarsi a un  M5s che vagheggia l’agguato al premier”.

 

 Letta, dal canto suo, attende e medita. “Da soli quelli di Iv non vanno da nessuna parte, Enrico”, gli ripetono i suoi consiglieri al Nazareno. Ma il segretario sceglie la strada dell’ecumenismo: e se è vero che finora ha preferito parlare solo coi referenti locali di Iv lascia invece intendere che sì, ci parlerà con Renzi. “Lui stesso sapeva che l’avrei fatto, e ha voluto alimentare questa polemica giocando sul tempo”, si sfoga il segretario. E però i numeri contano, ed è a quelli che bisogna attenersi. Alle ultime regionali, nell’ottobre scorso, nel collegio in cui Letta si giocherà il suo seggio il M5s ottenne 4.600 voti, Iv 4.400. Ma il voto grillino è incontrollabile per definizione, le filiere dei capirione sono logore, e nella città del Palio non esiste alcuna reale struttura di comando. Chi garantisce che gli elettori grillini si mobiliteranno davvero, per un appuntamento così marginale?

 

D'altronde anche il governatore Eugenio Giani  sa che sul M5s locale non si può  fare affidamento, se è vero che i suoi fedelissimi hanno messo in guardia la Bonafè dall’alzare troppo il livello dello scontro con Iv: “Guardate che non è pensabile sostituire Matteo con questi qua”. La marcia indietro sulla modifica dello statuto regionale, stigmatizzata da Renzi anche perché costruita in nome di un accordo tra il Pd e il centrodestra che rischiava di tagliar fuori Iv, è un segnale di distensione: accordo imminente.

 

Di qui, anche il nervosismo che invece si respira in Azione. “Il solito Renzi, che minaccia ma poi scende a patti col Pd”, sbuffa Matteo Richetti, ambasciatore di Carlo Calenda, che alla candidatura centrista ci crede davvero. Al punto che ha perfino proposto al renziano Scaramelli di correre: “Noi ti appoggiamo”. Poi un’alternativa quelli di Azione l’hanno cercata in casa. Il tutto, peraltro, con l’incognita dell’avversario. Salvini conferma il suo sostegno al civico Tommaso Marrocchesi,   imprenditore di Chianti. Ma i luogotenenti di FdI si sfogano da giorni con la Meloni: “Giorgia, Matteo non vuole vincere. Se candidassimo il sindaco di Siena, Luigi De Mossi, ce la giocheremmo davvero”. Chissà.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.