
La corsa
L'identikit dei nuovi vertici Rai secondo Draghi: niente politica
La fumata dovrebbe esserci il 12 luglio. Prima tocca ai partiti fare i nomi dei membri del Cda
Alternanza uomo donna per ad e presidente. Le qualità richieste: esterno alla Rai, lontanissimo dai partiti. Meglio se nessun parente. L'ostacolo rimane il tetto dello stipendio. Come presidente circola il nome di Paolo Mieli e Carlo Fuortes, del Teatro dell'Opera di Roma
La domanda è già lo sbaglio. Quella che tutti fanno: “Qual è la Rai che ha in mente Mario Draghi?”. Quella che nessuno formula: “La Rai è davvero pronta per Draghi?”. E sarebbe dunque il caso di finirla con il dire che si è perso tempo, con l’idea che il premier non voglia sporcarsi le mani con la televisione di stato. Se finora si è atteso la ragione è semplice: non si può indicare un ad di un cda (e il suo presidente) se a mancare è il cda.
Prima vengono i partiti e poi il governo. Funziona così: devono essere Roberto Fico e Maria Elisabetta Casellati a calendarizzare l’elezione dei nuovi consiglieri Rai. Quattro li indica il parlamento, uno lo suggerisce il “partito Rai”, vale a dire i dipendenti, mentre gli ultimi due (presidente e ad) li indica il Mef, e significa l’esecutivo. Solo mercoledì prossimo 30 giugno (quando si stabilirà il calendario dei lavori d’aula) si conoscerà la “data della data”, il momento del “fuori i nomi”.
I consiglieri sicuri sarebbero loro: Igor De Biasio (quota Lega), Giampaolo Rossi (è la quota opposizione Fdi e per prassi non può non esserci), Francesca Bria (quota Pd). E’ una fase che dovrà esaurirsi prima del 12 luglio, giorno in cui è convocata la (seconda) assemblea dei soci di questa “televisione grattacapo”. Perché tutto questo preambolo? Per dire che Draghi ha un’idea su cosa è meglio per la Rai, per spiegare che esiste un identikit, l’amministratore tipo, il presidente tipo e che la ricerca è una ricerca esatta. C’è la volontà di individuare sicuramente una figura esterna a viale Mazzini per quanto riguarda l’ad. Ma c’è una bellissima novità che è anche la qualità gradimento, il “senza dubbio è meglio”. Non è altro che un green pass di indipendenza, l’assoluta distanza identitaria, la magnifica assenza nel proprio curriculum, di “onorevoli parenti”, di “gloriosi zii, nonni e padri”. E’ il contrario di ciò che in Rai è sempre accaduto. E’ il rovescio dell’onomastica. E’ la ragione che porta a escludere dalla corsa una valida professionista come Tinny Andreatta e che fa salire le ambizioni di Laura Cioli, Monica Mondardini, Raffaele Agrusti.
Sono professionisti nella lista dei cacciatori di teste così come Andrea Castellari, già ad del gruppo ViacomCbs. E sono professionisti che valgono ben più dei 240 mila euro di stipendio, il tetto populismo della Rai, la soffitta stretta che allontana i bravi. Perfino chi li sta valutando, e che conosce il mercato, dice: “Sappiamo che la cifra è al di sotto, e però…”. Si cercherà l’alternanza uomo-donna per la carica di ad e presidente. Un po’ di nomi: Paolo Mieli, Ferruccio De Bortoli, Antonio Di Bella, Carlo Fuortes che è sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma. Sarebbero tutti presidenti di garanzia. E adesso, invece, una piccola precisazione (ancora) sulla perdita di tempo. Questa televisione s-governata è stata finora il vero paradiso dei partiti. C’è una Rai, quella dei tg, che in queste settimane è servizievole e cortesissima: “Prego, cosa posso fare per lei, caro deputato?”. Sono gli stessi on. a rivelarlo come ad aggiungere: “Appena ci sarà il nuovo ad, vedrete, non risponderanno neppure al telefono”. Fare presto? Meglio. Fare subito!


Il popolo ha sempre ragione
Statista? Mah, Pertini capì solo che per piacere agli italiani basta poco

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