Simone Uggetti esce da San Vittore a Milano (foto Piero Cruciatti / LaPresse) 

L'intervista

“La mia vita nella gogna”. Parla Uggetti

Claudio Cerasa

Il carcere, le accuse, i giornali e ora il futuro. Chiacchiere con l’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti

La terza sezione penale della corte d'appello di Milano ha assolto l'ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti, dall'accusa di turbativa d'asta in un bando per la gestione delle piscine estive. Insieme a lui sono stati assolti anche i due coimputati, l'avvocato Cristiano Marini e il vicesegretario del Comune di Lodi, Giuseppe Demuro, a cui Uggetti si è stretto in un abbraccio commosso, subito dopo la lettura della sentenza. I tre sono stati ritenuti dalla corte "non punibili" per la "particolare tenuità del fatto" (art. 131 bis del codice penale). Una decisione nel merito che non potrà essere impugnata dal pg Massimo Gaballo. [articolo aggiornato il 20/06/2023]  


   

Simone Uggetti è forse uno dei personaggi del momento. Lo è non solo per la sua vicenda giudiziaria ma anche per il riflesso che la sua storia ha avuto sul mondo della politica. Simone Uggetti, lo sapete, è stato sindaco di Lodi, è stato arrestato nel 2016, è finito in carcere, è finito ai domiciliari, è stato vittima di una infamante campagna di fango, è stato assolto in secondo grado da ogni accusa e a lui, proprio su questo giornale, si è rivolto Luigi Di Maio, chiedendogli scusa per il fango gettatogli addosso all’epoca dell’arresto.

In questi giorni, il caso Uggetti è stato raccontato a lungo per ciò che ha rappresentato nell’universo dei partiti e forse non sbaglia chi dice che l’abiura della gogna da parte di alcuni professionisti della forca è come se  simbolicamente aiutasse a chiudere un cerchio apertosi nel 1993 ai tempi delle monetine contro Bettino Craxi di fronte all’Hotel Raphaël. La gogna non smetterà certo di esistere per un’abiura di Di Maio, ovvio, ma forse mai come oggi i partiti si sono ritrovati nella condizione di considerare la lotta contro la gogna come una priorità dell’agenda di governo e la centralità avuta dalla vicenda Uggetti è l’effetto più che la causa di un nuovo vento che soffia in politica. Abbiamo passato una mattinata con Uggetti per parlare di questo. Dei riflessi avuti dalla sua vicenda sulla politica. Di ciò che la politica potrebbe imparare dalla sua storia. Di cosa la politica potrebbe fare per non perdere l’occasione di sfruttare questo vento nuovo, il vento dell’anti giustizialismo, se così si può chiamare. E con il Foglio Uggetti parla a ruota libera. Si confessa. Si racconta. E offre qualche spunto di riflessione anche al suo partito, per esempio sulla riforma della giustizia, per esempio sul referendum dei Radicali, e della Lega, di fronte al quale Uggetti dice: perché no?

Alla politica ci arriviamo, ci arriviamo con calma, e ci arriviamo dopo aver rimesso in fila cosa è stato, per un sindaco, per un innocente, vivere la gogna. Quando comincia tutto? “Comincia il 3 maggio del 2016: ero sindaco da tre anni”. E cosa succede quel giorno? “Succede che alle otto di mattina suona il citofono. Dall’altra parte della cornetta, c’è un tenente colonnello della Finanza che conoscevo per motivi istituzionali. Mi dice: sindaco, abbiamo bisogno di lei. Io dico: salite. Un minuto dopo arrivano in quattro. Li vedo e penso: sarà un Tso, un Trattamento sanitario obbligatorio, perché spesso o la Finanza o l’Asl, alle ore più impensabili del giorno e della notte, passano a casa del sindaco per autorizzare un ricovero coatto e il sindaco, che è un’autorità sanitaria, deve firmare”.

Non era però un Tso. “Non lo era. Ricordo l’immagine dei quattro finanzieri che iniziano a parlare ma che non mi dicono subito la ragione della visita. A un certo punto sento dalla loro voce un sibilo: c'è un ordinanza di custodia cautelare. Dico: per me? Dicono: per lei. Vedo nero. Penso che la mia vita è finita”. La prendono e la portano dove? “Mi danno qualche minuto. Entro in casa. Mia moglie inizia a chiamare il mio avvocato e mio fratello. Mio fratello vede le chiamate battenti, insistenti, di mia moglie e del mio avvocato e dice: cazzo, starà male, starà morendo, che diavolo succede? Aveva pensato a tutto, ma la galera mai”. E invece. “Mi dicono ‘prenda la sua roba’, mi chiedono se ho un’arma, chiedo se posso fare una doccia e mi rispondono che non si può. Mi accompagnano  – credevo che capitasse solo nei film – alla questura di Lodi per foto segnaletica e impronte digitali: lato destro, lato sinistro. Mentre arrivo in questura ci saranno stati non meno di trenta poliziotti sul piazzale. Trenta poliziotti. Lì inizio a capire. Inizio a vedere il film della mia nuova vita: la bestia da esibire. Il circo mediatico funziona così: ha bisogno di una bestia per sfamare il mostro. E il mostro è sempre lo stesso: la gogna, il sensazionalismo, la presunzione di colpevolezza. Pochi giorni dopo, quella bestia sarei diventato io. Sindaco in carica, mediamente decisionista, del Pd, della stessa città, Lodi, del coordinatore della segreteria di Renzi, Lorenzo Guerini, e tutto nonostante io non fossi mai stato renziano. Il circo era pronto. Io ero la vittima da esibire”.

 

La piazza e poi? “Mi portano in comune. Mi portano lì per l’estrazione dei documenti, delle chiavette, dall’hard disk. Non sono passato inosservato: quel giorno era il giorno del mercato, che si tiene nello spazio adiacente al palazzo comunale. Folla e umiliazione. Vedevo nero. Pensavo che la vita fosse finita”. Poi le diranno le accuse. “Lì per lì non le avevo nemmeno capite. Mi avevano detto: questa è l’ordinanza, leggila. Ma ero  sconvolto e non riuscivo a leggerla. Passano i minuti, le ore, e arrivo in caserma. Bisogna compilare dei modelli per convalidare l’arresto e in caserma, a Lodi, c’era poca abitudine: in un anno si arresteranno una, due persone. Con me arriva un avvocato, il dottor Cristiano Marini, che prestava assistenza gratuita al comune. Arrestato anche lui. Ricordo che aveva una moglie incinta di sei mesi e io lo scoprii solo in quel momento. A ripensarci, mi si gela il sangue: posso avere un po’ d'acqua?”. Acqua. E poi? “Mandano me a San Vittore e Cristiano al carcere di Pavia”. San Vittore, dove? “Quando arrivi a San Vittore c’è un punto di smistamento. Ti fanno spogliare completamente nudo. Tu depositi la roba che hai nel cassetto, togli la cintura e tutto poi viene messo in un sacco nero, come quelli della spazzatura. Ti danno tre-quattro coperte e ti portano al tuo posto”. Che era? “Terzo raggio. Una stanza dove aspettare il proprio turno. Poi la cella. Sono stato lì dieci giorni. Sono stato fortunato”.

Ricorda i suoi compagni di cella? “Erano due. Uno si chiamava Bruno, l’altro Ciccio. Bruno mi ha salvato: mi ha preso in simpatia. Ho parlato tantissimo con lui. Mi ha raccontato i segreti del carcere. Mi ha spiegato come convivere con questo dramma. Ero innocente, lo sapevo, ma più passavano i giorni e più mi convincevo che se ero lì avevo fatto qualcosa. In carcere, io?”. E in carcere cosa vede. “Ricordo un episodio che mi colpì e che Bruno mi spiegò. Ricordo che era un maggio caldo, molto caldo, e che un giorno di fronte a me vedo diversi ragazzi di colore, credo magrebini, con la maglietta con le maniche corte e cicatrici infinite sulle braccia, come dopo un taglio. Chiedo a Bruno: che succede? E lui mi fa: si tagliano con le lamette per attirare l'attenzione della guardia carceraria. Se ti esce il sangue, la guardia viene. A volte lo si fa anche solo per avere una sigaretta”. Ci sono cicatrici che si vedono in superficie e altre che in superficie non si vedono. Le sue? “In carcere sono stato fortunato. Avevo le telecamere fisse, perché pensavano mi potessi ammazzare, anche se mai l’ho pensato. Avevo molti psicologi che mi seguivano e gli avvocati che mi assistevano ogni giorno. Ma le ferite restano. Ed essere trasformato in un mostro fino a prova contraria è qualcosa che può finire sulla carta, ma poi ti resta dentro ed è lì che ti fa male”.

Le accuse. “Turbativa d’asta, rispetto a un appalto bandito dal comune per la gestione delle piscine esterne comunali, Concardi e Ferrabini, e del giardino, del valore economico a base d’asta di 5 mila euro. Turbativa d’asta non per interesse personale, che non mi è mai stato contestato. Tenete presente che il bilancio consolidato del comune di Lodi aveva un valore di 100 milioni di euro. Giusto per dare il senso delle proporzioni. L’accusa era questa: avrei favorito insieme all’avvocato Marini, il dirigente del comune e un imprenditore responsabile di una società sportiva, una società piuttosto che un’altra. Le uniche cose vere che mi hanno attribuito sono due: che effettivamente ho mandato una mail con una bozza di bando a Cristiano Marini e ho parlato con lui. Tutto il resto è falsità. Mi dicono: perché l’ho fatto? Perché  il servizio era in perdita e temevo non ci fossero concorrenti. Quando andava bene l’anno era in pareggio. Mi chiedono: ma non è vero che avevi confessato? Rispondo: ma cosa? Ma quando mai? Durante il primo interrogatorio del gip, il 4 maggio 2016, ero sconvolto. Al gip che mi parlò del valore economico di 100 mila euro avevo paura di dire che il valore economico vero di quella partita era di 5 mila euro. In quel momento ho pensato: per tutto questo casino qualcosa devo aver fatto. Non è possibile che io sia qui per questa storia. Ci deve essere un ribaltamento della realtà. E’ lì che ho detto: se ho fatto degli sbagli, li ho fatti sicuramente in buona fede”.

 

L'ex sindaco di Lodi Simone Uggetti assolto in appello per il "caso piscine" ascolta la sentenza a Milano, 25 Maggio 2021 Ansa/Matteo Corner 
  

Leggo il titolo del Fatto: “Il sindaco di Lodi si scusò per la gara pilotata”. “Scusarsi per qualcosa è diverso dal confessare qualcosa. Per confessare devi ammettere di aver commesso un reato, e io questo non l’ho mai ammesso perché non ho mai commesso un reato”. Ha però cancellato un file dal suo pc. “Quello è vero. Siccome mi hanno intercettato 3.500 volte in quaranta giorni, a un certo punto la procura usa una figura che tecnicamente si chiama agente provocatore. L’agente provocatore mi dice che sulle piscine il comune rischia grosso. Io non capisco perché e mi viene in mente la mail che avevo mandato a Marini. E mi chiedo: vuoi vedere che quella mail lì mandata in buona fede può diventare un elemento contro di me?’. Allora la cancello. Poi mi sono detto: no, forse cancellare non basta. Formatto il pc, e ne ho parlato con il dottor Marini. Poi mi sono detto le cose vadano come devono andare, non ho niente da nascondere. E il pc è ancora lì, mai formattato”. E i 100 mila euro? “Durante l’interrogatorio ero così sconvolto che non avevo il coraggio di dire al gip che il vero valore di quell'operazione era 5 mila euro. Dissi che mi ricordavo che la cifra fosse enormemente più bassa e chiesi da dove fosse stata ricavata. Lei (il gip) disse: ‘La cifra l’ho letta dal Cittadino (il quotidiano locale)’. Poi scoprii che questa cosa dei 100 mila euro era stata scritta da un tizio che aveva inviato una lettera al giornale. Questo tizio, che è un operatore, che guarda caso gestisce una piscina privata e che si era più volte presentato in comune per avere una serie di utilità varie, cioè favori, che io non gli avevo mai concesso”.

Passano dieci giorni a San Vittore, e poi? “Poi ci sono altri 25 giorni di arresti domiciliari, duri. Avevo deciso che mi sarei dimesso da uomo libero. Sapevo benissimo che dopo tutto quello che era successo non potevo più fare il sindaco. Ero stato scaricato da tutti. Anche dal mio partito. Anche dall’allora segretario, Matteo Renzi. Io andai avanti per la mia strada, aspettai il 25 giugno, giorno della fine dei miei domiciliari, e poco dopo decisi di dimettermi. Volevo dare un segno”. Che segno? “Il segno che un sindaco si dimette non perché lo decide il circo mediatico-giudiziario, ma perché lo decide lui”.

La gogna, cosa ricorda? “Ricordo il fango. Ricordo le accuse trasformate in condanne. Ricordo i sospetti trasformati in sentenze. Ricordo le prime pagine dei giornali. Ricordo le manifestazioni, in piazza, a Lodi, prima del M5s, con Luigi Di Maio, e poi  della Lega. Salvini non venne ma poi, settimane dopo, quando tornò a Lodi per la campagna elettorale andò anche lui in piazza mimando le manette sovrapponendo i polsi delle mani. Lo ricordo bene: lo fece due volte. Di Maio oggi ha chiesto scusa, e lo apprezzo davvero, non so se è una svolta ma Salvini ancora no. Anche se onestamente le scuse dovrebbero arrivare forse non solo dai politici ma anche da alcuni giornalisti e da alcuni giornali. Niente rancori, solo un pizzico di amore per la verità”. Dica la verità: mai stato giustizialista? “Dico la verità: lo sono stato. E oggi mi vergogno”. Lo è stato quando? “Quando nel 1992 mi ero convinto che la magistratura potesse non soltanto combattere la corruzione ma anche cambiare il paese. La verità non possiamo nascondercela: il circo mediatico-giudiziario non lo ha inventato il Movimento 5 stelle, ma lo hanno inventato tutti coloro – anche a sinistra, anche ai tempi di Berlusconi – che hanno utilizzato il lavoro della magistratura in modo improprio, trasformandolo in un surrogato delle proprie battaglie politiche”.

Condanna per lei a dieci mesi in primo grado, assoluzione in secondo grado. “Garantismo significa questo per me. Non significa ricerca dell’impunità, significa ricerca della giustizia. Significa difesa dei diritti di un indagato. Significa sforzarsi di trattare in modo umano chiunque sia accusato di qualcosa. E badate bene. Non penso che le storture della giustizia dipendano dai magistrati, o quanto meno non penso che sia solo un problema del nostro sistema giudiziario. Lo dico pur essendoci passato in prima persona: gli errori capitano. Le cattive diagnosi, quelle sbagliate, le fanno i medici e a volte le fanno i magistrati. Non condanno un magistrato che sbaglia, condanno un paese che non riesce a parlare di giustizia senza la lente deformata della gogna”.

 

È ancora iscritto al Pd? “Lo sono”. Pensa come il segretario Enrico Letta che in Italia sia necessario superare la guerra tra “garantisti e impunitisti?”. “Capisco l'osservazione del segretario, ma forse il mio non era il contesto più adeguato per il paragone”.

 

E ora? “La politica fa parte della mia vita. Mi sono ripreso la mia libertà e qualcosa succederà. La mia esperienza credo possa insegnare qualcosa. Ha insegnato qualcosa ai miei avversari, spero insegni qualcosa anche al Pd”. E la sua storia, al Pd, cosa potrebbe insegnare? “Potrebbe insegnare a non regalare agli avversari la battaglia per una giustizia giusta”.

 

Le piacciono i temi suggeriti dai Radicali, e dalla Lega, sulla giustizia, per un possibile referendum? “Mi riferisco anche a quello. Quei referendum non possono, credo, essere regalati alla destra. Quei temi sono patrimonio della sinistra. Nel migliore dei casi, scommettere su un referendum può essere un pungolo per il Parlamento. Nel peggiore dei casi, su un referendum si può anche votare. Non penso, come detto, che la politica debba riformare la giustizia per punire i magistrati. Penso che la giustizia vada riformata per restituire ai cittadini qualcosa di simile a uno stato di diritto. La mia esperienza questo insegna: chiedere più garantismo non significa chiedere più impunità; significa semplicemente chiedere di vivere in un paese più libero. Vale la pena provarci, no?”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.