Manifestazione per il Ddl Zan a Milano (Ansa)

Distinzione, non discriminazione

Il ddl Zan spiegato a un assai distratto cardinale Bassetti

Marcello Pera

Cara Cei, suvvia, un po’ di chiarezza di linguaggio, un po’ di onestà e un pizzico di coraggio: è una legge sbagliata

Qualche giorno fa, nella sua fortunata trasmissione serale, Barbara Palombelli fece una cosa che di solito i giornalisti non amano fare. Parlando del disegno di legge Zan, lesse il testo. O meglio, cominciò a leggerlo e poi si fermò. Partita animata dai migliori sentimenti democratici e umanitari, a un certo punto il sorriso le si gelò sulle labbra perché si accorse che nel testo non c’era scritto soltanto che sono puniti quelli che discriminano o offendono o istigano all’odio le persone in base al loro costume o tendenze sessuali, ma anche coloro che fanno propaganda contro la “identità di genere”. Barbara aveva ragione di raffreddarsi. Il disegno di legge Zan non è una semplice modifica per aggiunta della legge Mancino; è qualcosa di più e di assai controverso. Sotto l’alibi della lotta alle discriminazioni, il disegno di legge intende introdurre nella nostra cultura e nel nostro ordinamento penale una nozione nuova che è respinta da tanta gente, l’identità di genere appunto.

 

Che cos’è l’identità di genere

Che cosa è questa identità distinta da quella comune di identità sessuale? Il disegno di legge lo spiega fornendo delle definizioni. “Per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico”. Fin qui ci siamo, anche se “anagrafico” sembra ridondante, tanto quanto lo sarebbe, poniamo, “di battesimo”. Se nasce l’atteso Mario, i genitori all’anagrafe lo registrano come maschio; né lo chiamerebbero Maria o Giovanna o con un nome di femmina. Il sesso anagrafico è lo stesso che il sesso biologico. È sesso, un dato di fatto, uno stato di natura, che non cambia a seconda di come lo chiami. Diversamente vanno le cose per “genere”. Secondo la definizione fornita dal disegno di legge, “per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso”. Cioè a dire: se uno è maschio ma manifesta (ad esempio mediante comportamenti e autodichiarazioni) di essere femmina, allora il suo genere è quello della femmina. Questa definizione fa nascere almeno due problemi. Primo. Perché parlare di “aspettative sociali connesse al sesso” e non di aspettative naturali? Se io vedo un individuo che in tutto e per tutto è un maschio, la mia aspettativa che egli si consideri così è naturale, perché deriva ed è vincolata dai dati che vedo, non è sociale, perché non è influenzata dalle dichiarazioni o comportamenti di quella persona. Secondo. Se il genere è “qualunque manifestazione esteriore di una persona”, indipendentemente dal suo sesso, il concetto di genere di una persona non è più oggettivo: o scompare (al più resta l’indistinto “genere umano”), oppure si riduce a ciò che è percepito o dichiarato ad arbitrio di tale persona. E questo è precisamente ciò che sostiene il disegno di legge Zan con un’altra definizione: “Per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrisponde al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”.

 

Questo è il punto e il nodo del disegno di legge. Esso distingue e separa il sesso dal genere e affida il genere ad una costruzione sociale o a una deliberazione personale. Non si dirà più “Tu sei come la natura ti ha fatto nascere”, bensì “Tu sei ciò che vuoi essere”. Scompare la biologia, perché il sesso non è più elemento determinante per la definizione del genere, e ci si affida alla psicologia, perché ciò che tu percepisci o desideri è ciò che è. Muore la natura, vince la cultura. Insomma, il disegno di legge Zan, prima costruisce il genere indipendentemente dal sesso, poi considera il genere come un prodotto culturale (la mia autopercezione nella società), infine pone la costruzione culturale allo stesso livello del dato naturale.

 

Distinzione, non discriminazione

Questa è la ben nota teoria del genere. Sbagliata, secondo l’opinione dei più, direi la maggioranza. Ma giusta o sbagliata che sia, che c’entra con le discriminazioni? Nulla. Le discriminazioni sono tutte odiose, ma chi nega la distinzione fra sesso naturale e genere culturale non compie alcuna discriminazione, semplicemente fa una distinzione. E se si punisce la propaganda contro l’identità di genere, si punisce quell’opinione dei più che compie una distinzione fondata sulla natura. Si pensa forse che il nostro ordinamento non protegga adeguatamente tutte le persone? Non è così, ma se così fosse, allora basterebbe ciò che dice la nostra costituzione alla voce uguaglianza: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Nel testo il genere non c’è, né si può introdurcelo di soppiatto.

 

In realtà, il disegno di legge Zan ha uno scopo ultimo e non confessato, anche se trasparente. Vuole introdurre una nuova antropologia diversa da quella fondata sui dati naturali e sul credo giudaico cristiano. Non più: “uomo e donna Iddio li creò”, bensì “umani Iddio, o chi per lui, li creò, e poi uomo e donna essi scelsero da sé”. Il cardinale Bassetti, presidente della Cei, ha fatto finta di non capire. E si comprende bene perché. Stretto, da una parte, dal dettato cristiano e dall’adesione dei credenti a tale dettato, e, dall’altra parte, dalla cultura secolarista e da Papa Bergoglio, il cardinale ha detto che il disegno di legge Zan non deve essere affossato, bensì corretto, omettendone il concetto di identità di genere. No, Eminenza, ci rifletta. Se al disegno di legge Zan toglie questo concetto, ne toglie anche lo scopo vero e ultimo, e della proposta non resta più nulla. Neppure la sola punizione delle discriminazioni o dell’incitamento all’odio, che già sono proibite dalla nostra legge vigente. Suvvia, un po’ di chiarezza di linguaggio, un po’ di onestà intellettuale, e un pizzico di coraggio. Dopotutto, si tratta di evitare il carcere a quei cristiani che credono nella Scrittura e professano la fede. Possibile, Eminenza, che di questa trappola  – un altro strappo alle radici giudaico cristiane dell’Europa – si siano accorti tanti laici, mentre Lei sia ancora lì a nicchiare?

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