l'intervista

"Draghi resti premier fino al 2028. E per il Quirinale è il momento di una donna". Parla Scalfarotto

Valerio Valentini

Intervista al sottosegretario all'Interno. "Il presidente del Consiglio è la migliore risorsa per cambiare l'Italia e l'Europa. Può essere il candidato a Chigi del fronte riformista ed eruopeista". Il destino di Iv? "Il polo lib-dem si formerà, e dialogherà col centrosinistra"

Quella che sulle prima appare quasi come un mezzo sgarbo, Ivan Scalfarotto la ribalta subito come una somma attestazione di stima. “Se spero che non sia Mario Draghi a diventare capo dello stato nel febbraio del 2022 è perché in realtà spero che lui resti presidente del Consiglio non solo fino al 2023, ma addirittura fino al 2028”. Spariglia le carte, insomma, il sottosegretario all’Interno, soldato fedele di Matteo Renzi e gran confidente del leader di Italia viva. “Se è vero, com’è vero, che al di là del superamento dell’emergenza pandemica il destino dell’Italia per il prossimo mezzo secolo dipenderà dal successo del Recovery plan, allora non posso che augurarmi che a guidare questo processo riformatore così complesso e decisivo che durerà almeno fino al 2026 ci sia proprio Draghi, che è la nostra migliore risorsa”.

 

Solo che, a questo punto, viene da interrogarsi sulla campagna elettorale che verrà, con l’ex presidente della Bce come candidato premier. Ma di chi? “C’è un’ampia parte del parlamento che è convinta europeista e riformista, che non può che riconoscere in Draghi il suo campione. E dunque perché non considerarlo come il miglior premier in cui sperare per innescare quella ripartenza economica e culturale che dovrà seguire a questa pandemia? Perché non individuare in lui la migliore alternativa a un fronte sovranista che scommette invece sulla chiusura e sulla paura?”.

 

C’è chi ci vedrà una resa della politica, però: l’ammissione della propria incapacità. L’idea, insomma, che per fare una cosa teoricamente normale, cioè le riforme, serva l’uomo della provvidenza. “Ma Draghi è una figura politica, e le sue scelte presenti e passate  dimostrano che si può fare politica anche senza avere una tessera di partito in tasca, ma essendo fino in fondo un uomo delle istituzioni. Il futuro dell’Italia incrocia necessariamente quello dell’Europa,e non solo perché sarà Bruxelles a vigilare sul corretto utilizzo dei fondi del Next Generation Eu. La sfida sta proprio nel rendere strutturali le svolte attuate col Recovery, spingere l’Unione europea verso una maggiore integrazione. E con Angela Merkel sulla via del ritiro, con Emmanuel Macron costretto a concentrarsi sugli affari di Francia in vista delle presidenziali del prossimo anno, l’autorevolezza e il prestigio di Draghi sono non soltanto un valore aggiunto per l’Italia, ma una garanzia per l’intero continente”.

 

Matteo Salvini crede che Draghi possa svolgere questo ruolo proprio dal Quirinale. “Io credo invece che siano maturi i tempi per una donna come capo dello stato. Sarebbe il segnale di una svolta storica, per l’Italia”. A chi si riferisce? “Se facessi dei nomi, ora, sarebbe solo per bruciarli. Non me li chiedete”.

 

E Sergio Mattarella? Lui lo esclude con toni categorici, ma nel Pd c’è chi spera in un suo bis, sul modello di quel che avvenne con Giorgio Napolitano. “Ho una tale deferenza nei confronti del capo dello stato, che mi limiterò a rispettare in modo assoluto la sua scelta, qualunque essa sia, che sarà sicuramente improntata al bene della repubblica. Quanto a Napolitano, spero francamente che nessun capo dello stato si ritrovi a dover schiaffeggiare un Parlamento incapace di trovare una soluzione per la scelta del suo successore. Ricordo bene quei giorni, il senso di costrizione con cui un galantuomo come Napolitano dovette accettare quasi obtorto collo la sua rielezione. Una pagina non certo felice, nella storia dei partiti”.

 

Ma invece, pensando al futuro: come ci arriverà Iv alle elezione del 2023? “Da orgoglioso iscritto al mio partito, credo che sia indispensabile trovare una comunità d’intenti in quel mondo liberal democratico che va da Mara Carfagna a Carlo Calenda, passando per Renzi, Emma Bonino e Marco Bentivogli. Le formule e i tatticismi mi interessano meno, perché dovrà essere un’operazione che abbia un respiro strategico. C’è una grossa parte del paese, produttiva e cosmopolita, che crede nella creazione di una ricchezza che va poi redistribuita, mortificata dalla mancata rappresentanza parlamentare”. Ma questo fronte dovrà scegliere da che parte stare? “Di certo non col sovranismo, non con la destra regressiva. Per me questo fronte, autonomo e ambizioso, non potrà che coltivare un dialogo privilegiato, se non esclusivo, col polo del centrosinistra. Sarà necessario però che il Pd non assecondi le pulsioni populiste del M5s, ma che anzi imponga al grillismo di affrontare e risolvere le sue contraddizioni”. 
 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.