L'amico sporcato

Nella testa di Sebastiano Ardita, il pm che si sente tradito da Davigo

Come nasce l'affaire Amara: toghe, correnti, gelosie e ambizioni

Carmelo Caruso

Una corrente che nasce da una scissione. La scelta di Davigo come guida carismatica. Dietro le presunte accuse di Amara c'è molto più. Magistrati che si sentono traditi. Gli stessi che si erano aggrappati a Davigo

Quello che si può raccontare vale più di quello che non si può dire. Non si può dire che nel 2015 quattro giovani magistrati commettono quello che, alcuni di loro, ritengono essere l’errore più grande di tutta la loro carriera. Non si può dire che quattro magistrati cercano una figura carismatica che possa rappresentarli. La trovano in Piercamillo Davigo. Se ne pentiranno. Quei quattro  si chiamano Sebastiano Ardita, Alessandro Pepe, Aldo Morgigni, Stefano Schirò. Prima del 2015 sono iscritti a Magistratura Indipendente, una corrente che ha annoverato uomini dal valore indiscutibile. Paolo Borsellino è il primo. Un altro è stato Pier Luigi Vigna.

 

E’ la corrente della tradizione e da sempre si contrappone a Magistratura Democratica. Chi vuole cercare di ricostruire come si arriva allo scambio di plichi, lo scambio che vede protagonista Davigo e quello che a tutti gli effetti era il suo numero due, Ardita (sporcato da una presunta loggia a cui un faccendiere dice appartenga) deve partire da una data. E’ il 28 febbraio 2015. Quel giorno, i quattro magistrati, si staccano da Magistratura Indipendente. Li definiscono i “fuoriusciti”. Fondano una corrente nuova. Il nome è Autonomia e Indipendenza. Eleggono Davigo loro guida.  Chi ha costruito la corrente dice che Davigo non ha mai preso parte ai lavori preparatori e che Autonomia e Indipendenza non sarebbe nata se non si fosse verificato uno speciale evento. Nasce perché il magistrato più votato di sempre lascia i tribunali. Viene chiamato nel ruolo di sottosegretario della Giustizia nel governo di Enrico Letta. Si tratta di Cosimo Ferri.

 

Nel 2012 si candida a ricoprire ruoli direttivi all’Anm. Ottiene 1199 voti. Ha un pupillo. E’ Ardita. E’ un magistrato dalla storia personale intensa. Nasce a Catania. Rimane senza padre prematuramente. Passa la sua giovinezza dai salesiani. E’ cattolico. Scrive. Entra in magistratura a 25 anni. Non è di sinistra. Diventa sostituto procuratore, fa parte della Dda. Viene nominato direttore dell’ufficio dei detenuti. Di lui Ferri ha detto: “Ardita tornerà in Mi e farà il leader”. Gli profetizza un ruolo fondamentale, gli riconosce insomma un temperamento politico. Capisce tuttavia che  ha un radicamento fra i magistrati siciliani, ma non ancora una dimensione nazionale.

 

Sono i motivi che convincono Ardita a chiedere a Davigo di fare il presidente di una piccola corrente ma che aveva dimostrato intraprendenza. Il difficile era  lasciare la vecchia casa. Perché un magistrato come Ardita, uno che ha sempre pensato che “un giudice deve guardare negli occhi l’imputato”; “l’espressione mandare in carcere e buttare la chiave è qualcosa di insopportabile”; “la paura dell’errore è la paura che dovrebbe accompagnare qualsiasi giudice”,   individua in Davigo la figura migliore per lanciare una corrente che da 1.200 iscritti passa rapidamente a 2.400? La risposta è semplice. Davigo è tra i pochi magistrati capaci di muovere giornali e televisioni, di creare, come si dice, consenso.

 

Dietro tutti i testi della corrente c’è Ardita. Il testo “Giustizialisti”, scritto insieme a Davigo, è un testo più di Ardita che di Davigo. In un’occasione ha anche partecipato a un evento del M5s ma, non sentito, avrebbe precisato che “io non c’entro nulla con le loro idee. Sono lontanissimo per formazione. Mi ripugnano. I guasti di Alfonso Bonafede li ho denunciati”. Chi è dunque Ardita? Un magistrato che oggi crede che  ci sia stato un tentativo di sporcarlo e malgrado si sapesse che le tesi di Piero Amara fossero false. Chi lo ha ascoltato, lo ha ascoltato ragionare di un libro: “Il tradimento dei chierici”. In questa storia ci sono infatti magistrati che hanno tradito altri magistrati e magistrati che si sono pentiti di avere riposto fiducia nei magistrati, e padri, sbagliati, ma utili. E’ anche una storia di piccole vanità. Qual è l’altra figura che ha conteso a Davigo popolarità, e che fa parte della sua stessa corrente? E’ Nino Di Matteo. Tanto più Ardita si è avvicinato a Di Matteo e tanto più Davigo si è allontanato da Ardita. Quando tutto si potrà dire, uno di loro dirà: “Siamo caduti vittima di un impostore”. Ma anche questo, alla fine, non lo dirà.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio