Elaborazione grafica Enrico Cicchetti

Tormenti di un candidato sindaco "secondo"

Essere Roberto Gualtieri

Gli hanno fatto fare mesi di panchina con tira e molla su Roma (in attesa di Zingaretti), e ora gli vorrebbero far usare il guanto di velluto in campagna elettorale, causa alleanza con i Cinque stelle)

Marianna Rizzini

Ex ministro, professore, eurodeputato con i galloni, dopo la non-riconferma di Draghi si era dato disponibile per la città. Ma si è visto mettere in pausa a giorni alterni, aspettando la decisione del governatore del Lazio. Lui ha detto "ci sono, con orgoglio e umiltà". E con gli auguri di quelli che volevano l'altro. 

Ci vuole certo una bella pazienza, in questi giorni, a essere Roberto Gualtieri, per dirla con il titolo di “Essere John Malkovich”, film cult del 1999 in cui un burattinaio e una ragazza scoprono un tunnel che permette di entrare nella mente dell’attore. E certo si divertirebbe di più, Gualtieri, infine se non finalmente candidato pd a sindaco di Roma, con tanto di primarie in mezzo e dopo mesi di anticamera e anzi (quasi quasi) di panchina, ché Gualtieri, da ministro dell’Economia che era, non riconfermato da Mario Draghi ma datosi disponibile a correre per la città in cui nessuno pareva volersi candidare, si è visto sfumare davanti a giorni alterni, per poi vedersela ricomparire d’un tratto, la possibilità di correre davvero. E non dev’essere stato piacevole sentirsi dire che sì, “grazie Roberto, ti siamo grati”, ma anche “Roberto aspetta, vediamo che fa Zingaretti”.

 

 

E va bene che i secondi a volte diventano primi, ma insomma a Gualtieri è toccato, nel giro di due mesi, restare zitto mentre attorno era tutto un fiorire di ipotesi che non lo riguardavano, se non come possibilità per così dire di riserva, nonostante l’esperienza da professore ed europarlamentare pd con i galloni ex Pci-Pds-Ds, per giunta a Monteverde, il quartiere romano della storica sezione Donna Olimpia. E le ipotesi riguardavano prima le manovre per fare sì che Virginia Raggi si ritirasse (ma senza nominare lui, Gualtieri), e poi quelle in cui il Nazareno temporeggiava per permettere a Enrico Letta di vagliare l’altra strada di fatto preferita: metterci appunto  Zingaretti, al posto di Gualtieri. E anche in quel caso era tutto un ipotizzare, con Gualtieri come postilla: “Se il governatore non si dimette, allora si va sull’ex ministro…”; “se alla Regione si rischia il botto con i Cinque stelle, Gualtieri è pronto”. E ci sono stati giorni in cui da fuori, a non essere Gualtieri, si attendeva e ci si spazientiva: ma si candida o no? Figuriamoci a essere Gualtieri in persona.

 

Però lui, deputato ed ex ministro, non si è spazientito, neanche quando, una settimana fa, in quarantotto ore si è passati dal dare per sicuro il suo annuncio ufficiale di partecipazione al dare per sicura la mossa spiazzante di Zingaretti, senonché a un certo punto Giuseppe Conte ha detto “appoggio Raggi”. Fine dell’ipotesi Zingaretti, ma non prima di aver esperito come ennesima possibilità anche l’eventuale “tecnicismo”: far restare Zingaretti alla Regione fino all’ultimo momento utile, pur  candidandolo ufficiosamente per il Comune (deadline: settembre, momento della presentazione liste). Ma neppure con la fine dell’ipotesi Zingaretti per Gualtieri è finito l’incubo: ecco già pararsi di fronte al candidato la pletora di suggeritori occulti che spiegano come sia poco raccomandabile, viste le circostanze, accanirsi contro la sindaca cui incredibilmente, per eterogenesi dei fini ed errori altrui, sta andando l’acqua per l’orto nonostante i propri, di errori.

 

Il ragionamento suona più o meno così: “Caro Roberto, lanciati pure nella campagna elettorale, ma senza attacchi troppi violenti a Raggi”. Si pensa infatti, questo è il corollario, di depotenziare così sul nascere l’eventuale tentazione grillina di non appoggiare Gualtieri al ballottaggio, in caso di scontro finale Gualtieri-centrodestra. E non viene risparmiato a Gualtieri nulla di nulla: “Zingaretti sì che sicuramente sarebbe arrivato al secondo turno”, si sente dire in zona Pd. E se questo non è troppo, c’è anche dell’altro: c’è chi nota a margine l’iperrealtà dei fatti (della serie: “C’era proprio bisogno di farsi scegliere il candidato sindaco dai Cinque stelle?”).

 

E pensare che lui, Gualtieri, riserva di europeismo con ottimi rapporti a Bruxelles, docente di Storia Contemporanea, cofondatore del Pd ed ex vicedirettore dell’Istituto Gramsci, aveva già dovuto digerire la fine dell’avventura da ministro in fase Recovery. Ce ne sarebbe abbastanza per aver voglia di rifugiarsi non in Africa, come Walter Veltroni, ma nell’amato Brasile (che ha ispirato al candidato varie  sessioni di bossanova con la chitarra, ai tempi della Fgci). Invece lui ha detto: “Ci sono, con umiltà e orgoglio”.  E con tanti auguri — colmo dei colmi — di quelli che volevano Zingaretti. 
 

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.