Il caso

Tribunali, curatore speciale, class action dei parlamentari: il M5s è un circo senza guida

Il destino del Movimento è appeso alle decisioni dei giudici: il progetto dell'ex premier subisce un'altra battuta d'arresto

Simone Canettieri

Il tribunale di Cagliari non riconosce il ruolo di Crimi come capo politico, i parlamentari espulsi chiedono il danno d'immagine e Conte non si trova. Così la prima forza del Parlamento è sprofondata nel caos

 “Adesso, ci divertiamo. Quando siamo stati espulsi dunque  Crimi non era legittimato a farlo. Vogliamo i danni d’immagine”.  Seduto al tavolo della trattoria da Mario, in piazza delle Coppelle, c’è un gruppo che medita vendetta e spazzola rigatoni alla pajata (innaffiati da vino rosso della casa). Sono tutti deputati cacciati, a vario titolo, dal Movimento: Raffaele Trano, Michele Sodano, Andrea Colletti, Rosa Menga.  Class action: cin cin.

Si commenta con l’allegria del  bicchiere la decisione del tribunale di Cagliari: quella che non riconosce Vito Crimi come capo politico del M5s e dà ragione alla consigliera regionale (espulsa) Carla Cucco. Una storia che imbriglia tutto. Ora c’è un curatore speciale che reclama pieni poteri, Davide Casaleggio ringalluzzito, Giuseppe Conte impantanato. Ecco il primo partito del Parlamento italiano.
 
E’ così complicata, la faccenda, che nessuno sa da dove prenderla. Beppe Grillo viene avvisato, la sua testa sta sì in Sardegna, però in un altro fascicolo. Gli avvocati del Movimento si consultano con Giuseppe Conte che prende tempo. 
La linea di Vito Crimi è chiara: la decisione del tribunale di Cagliari riguarda solo questo caso, quello della consigliera regionale. Dunque, dice Crimi ai senatori che lo fermano, la nostra transizione va avanti. Ma non ci crede nemmeno lui, a dire il vero. Visto che Grillo non ha intenzione di esercitare il suo potere di Garante, l’unica soluzione potrebbe arrivare  dalla procura di Cagliari. Come? Chiedendo a Rousseau di indire il voto sulla piattaforma per eleggere così il direttorio a cinque, deciso dagli ultimi stati generali, quando Conte era ancora premier e il M5s giocava a risiko. 

La decisione del tribunale di Cagliari rimbalza nelle chat dei deputati e senatori espulsi dal Movimento nell’ultimo drammatico passaggio che ha portato alla nascita del governo Draghi. Nei capannelli, e non solo ai tavoli delle trattorie, si parla ormai di class action. Richieste collettive   per l’immagine sfregiata. Si citano codici e post su Facebook.  E’ una Parmalat a cinque stelle. Sicché la Corte d’Appello di Cagliari respinge i reclami di gloria di Conte, più che quelli degli avvocati grillini. L’unica speranza rimane un intervento della magistratura per sbloccare questo pasticcio.

Anche perché a Cagliari c’è intanto questo curatore nominato dal tribunale, l’avvocato Silvio De Murtas, che  solleticato dai giornalisti dice che potrebbe perfino partecipare alle prossime consultazioni o indire lui il voto del direttorio su Rousseau. Conte, intanto, non si trova. E non batte un colpo. Al contrario di Davide Casaleggio che intorno alle 19 fa sentire la voce del padrone. E’ tutto comico perché il presidente di Rousseau interviene dal Blog delle stelle, che non è più l’house organ del M5s, per dettare la linea al Movimento. E in una sorta di autointervista  dice in poche parole tre cose importanti. La prima: il Movimento non ha un capo politico e tutti gli atti prodotti dagli organi di sottogoverno del partito sono illegittimi. Poi: va eletto l’organo collegiale secondo le vecchie regole, ma lo si può fare solo su Rousseau.

E infine: tutti gli espulsi da Crimi negli ultimi mesi, da quando è scaduto il suo mandato di capo politico senza una norma transitoria per prorogarlo, possono farsi sotto. E rientrare in pista. Mister Rousseau ricorda, giusto per stare sul pezzo, che la piattaforma ha le pile scariche in quanto il Movimento non ha saldato mezzo milione di euro di arretrati: prima pagate, insomma, poi se ne riparla. Conte sta trattando con Casaleggio. Ma in questo momento il figlio di Gianroberto vede il banco pronto a saltare: secondo le regole dello statuto l’ex premier non può nemmeno candidarsi a far parte della squadra dei cinque in quanto non è iscritto al M5s e per essere votato dovrebbe esserlo da almeno sei mesi. Gli avvocati del Movimento sono in allerta: pensano a una tutela d’urgenza in tribunale ex articolo 700. E intanto c’è aria di class action come alle assemblee della Parmalat che Grillo infuocava.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.