In nome del figlio (di Beppe)

Luciano Capone

Dopo aver screditato la ragazza parte la delegittimazione del suo avvocato (Giulia Bongiorno). Così Grillo e il M5s hanno inaugurato il solito processo sommario, stavolta non per condannare gli avversari ma per assolvere Ciro.

La prima reazione al video in cui Beppe Grillo ha sbraitato senza articolare un pensiero compiuto sull’inchiesta che vede suo figlio Ciro indagato per stupro di gruppo è stata per molti di noi usare le categorie della nemesi: il giustizialista che si scopre garantista quando è vittima del circo mediatico-giudiziario e dell’uso politico della giustizia, e cioè dei suoi stessi metodi. Ma è, come molti dei riflessi quasi istintivi, una visione delle cose che non corrisponde alla realtà.

 

Nel caso di Beppe Grillo e della vicenda che riguarda suo figlio non c’è stato alcun processo mediatico, nulla di vagamente simile a ciò che ha riguardato qualsiasi altro personaggio politico italiano, di destra o di sinistra, e i suoi familiari. Anzi, quella di Tempio Pausania è stata, per certi versi e fino a un certo punto, un’inchiesta modello. Gestita da tutti i protagonisti e dai mezzi di informazione come avviene nei paesi civili o come dovrebbe avvenire in un sistema ideale. Nei due lunghi anni di inchiesta, su una vicenda che ha riguardato il leader del primo partito in Parlamento e della principale forza di governo, sui giornali ci sono stato esclusivamente articoli nelle pagine della cronaca giudiziaria.

 

La procura di Tempio Pausania ha gestito l’inchiesta con la massima riservatezza e segretezza: niente interviste dei pm sui giornali; non ci sono state le solite fughe di notizie; a differenza di altri casi analoghi di cronaca non sono, per fortuna, filtrate prove come foto o video presenti nel fascicolo; caso più unico che raro, sui giornali non è uscita una sola riga dei verbali delle deposizioni dei quattro giovani indagati (tra cui il figlio di Grillo) e delle due ragazze denuncianti. Queste ultime, le presunte vittime, insieme alle loro famiglie e ai loro legali, hanno mantenuto un dignitosissimo silenzio rinunciando al potere mediatico della presunta vittima, su un caso che attira l’attenzione mediatica, per indirizzare l’opinione pubblica. Evidentemente le famiglie hanno pensato bene di proteggere le proprie figlie, evitando di lanciarle nel tritacarne mediatico. Sul lato dei media non ci sono stati talk-show che, come spesso accade, hanno trattato morbosamente la vicenda andando a frugare nella vita dei giovani coinvolti. Sul fronte politico non si ricordano polemiche o attacchi da parte degli avversari, neppure quelli che avevano subìto gogne e linciaggi dal M5s e dal blog di Grillo. Era, come dicevamo, un’inchiesta modello: l’opinione pubblica era a conoscenza della sua esistenza, ma a occuparsene erano avvocati e pm nelle sedi deputate e attraverso le modalità più opportune.

 

Questa inchiesta modello è stata invece trasformata in una corrida da Beppe Grillo. E’ stato lui, con il suo video, ad aver innescato il parallelo processo mediatico e ad aver scaraventato sotto i riflettori suo figlio, i suoi amici co-indagati, le presunte vittime e le loro famiglie. E, cosa ancor più grave, Grillo e il suo partito stanno politicizzando in una maniera incredibile un’indagine che finora è stata completamente estranea estranea alla lotta fra partiti. Per quanto il video possa apparire come la reazione di un genitore visibilmente alterato e squilibrato, non si può non pensare che in realtà si tratti di una lucida strategia difensiva che punta a condizionare l’esito dell’inchiesta. Il video non è uno sfogo immediato, ma arriva due anni dopo i fatti (il presunto stupro) e a ridosso della chiusura dell’indagine e della decisione di pm e giudici sul rinvio a giudizio. Con il suo video Grillo, che è un leader politico e un abile comunicatore, tenta da un lato di mettere pressione sui magistrati e dall’altro di delegittimare la credibilità della vittima. E trascina entrambi, magistrati e famiglia delle presunte vittime, nell’agone mediatico-politico da cui si erano tenuti alla larga.

 

A dare man forte a Grillo sono state anche figure del suo partito, che hanno cercato di delegittimare il legale scelto dalla famiglia della ragazza, Giulia Bongiorno. “A me fa schifo”, ha dichiarato l’ex ministro grillino Danilo Toninelli, che “a parlare per conto della famiglia della vittima sia un politico, lo tesso politico che difende Salvini. E’ una senatrice della Lega che strumentalizza politicamente una roba del genere”. Stesse considerazioni fatte ieri dal ministro (grillino) Fabiana Dadone. Il M5s, in pratica, accusa la famiglia della ragazza e la Bongiorno del comportamento che sta tenendo Grillo. Un attacco all’avvocato della ragazza è arrivato pure dal sottosegretario alla Giustizia Anna Macina, cosa particolarmente grave e probabilmente incompatibile con l’incarico che la grillina ricopre. Insomma, da un lato Grillo scredita la presunta vittima perché avrebbe denunciato troppo tardi (“dopo 8 giorni”) e dall’altro il M5s, addirittura attraverso due esponenti di governo, delegittima l’avvocato della giovane. Grillo ha imbastito il suo solito processo sommario, stavolta per assolvere il figlio.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali