Il nostro Terrore senza social. Si stava peggio quando si stava peggio

Giuliano Ferrara

Il linciaggio di Craxi con le monetine e il disastro del ’93. L’impazzimento demagogico di allora, anche delle élite, fa sembrare zuccherini il risentimento populista e la mania di sputtanamento di oggi

Tutti dovrebbero leggere il libro dedicato da Filippo Facci alla serata del 30 aprile 1993, il linciaggio di Bettino Craxi con le monetine sotto l’albergo che era casa sua. Tutti dovrebbero leggere questo volume edito da Marsilio, ma non solo per fare esperienza di una giornata storica della democrazia repubblicana, per convenzione lo spartiacque tra l’epoca della Costituzione del 1948, istituzioni e partiti politici, e tutto quel che confusamente è emerso nei ventotto anni successivi. Dai cinquant’anni in su, più o meno, gli italiani e il mondo sono stati testimoni diretti degli avvenimenti, protagonisti, comparse. Gli altri, i più giovani, hanno una memoria adolescenziale di quanto accadde o solo un flebile ricordo, per lo più tramandato dai vincitori o da coloro che pensano di aver vinto la buona battaglia contro la corruzione o di averla perduta eroicamente per un destino cinico e baro. I libri di Lodovico Festa sono il magnifico romanzo di idee della caduta repubblicana, la cronaca di Facci, bella e impetuosa, è il nudo racconto dei fatti.

 

Al di là della misura della storia, però, c’è altro che dalla cronaca viene fuori, e riguarda direttamente il nostro presente. Quel clima incandescente, quando un unanimismo fanatico e violento travolse ogni pensiero diverso, ogni remora di garanzia per individui e gruppi, ogni rispetto per la norma, ogni pietà, ogni dubbio, fu amplificato fino al parossismo da giornali cartacei e vecchia televisione. Non c’erano i social. Non c’erano esperti, sociologhi filosofi antropologi, a spiegare il mutamento di senso di informazione e comunicazione, il prevalere di una logica binaria di idoleggiamento e disprezzo (I like, I don’t like), le deviazioni e le perversità di nuovi media che creano stati di coscienza patologici, inducono al reato anonimo dal porno alla politica ai discorsi d’odio sempre nelle nostre mani, sempre alla nostra portata. E non c’era nemmeno il populismo come esasperazione, risentimento sociale, rabbia, frustrazione di massa.

 

Non farò nomi, sono tutti nel libro, ma sono nomi che dicono una cosa certa: furono le classi dirigenti, della politica delle istituzioni e della società civile, a tirare la volata al furore omicida delle folle dell’anno del Grande Terrore per salvaguardare ciascuno il proprio pezzetto di immunità e di reputazione. Il tempo ha stemperato la sorpresa e il disgusto, siamo umani e con il passare degli anni, quando è ormai divenuta gradualmente comune la consapevolezza del disastro di allora, abbiamo tutti in qualche misura dimenticato, ma a rileggere il who is who dell’impazzimento demagogico, magistrati giornalisti politici intellettuali gente delle professioni, si resta di sasso. C’era al massimo il popolo dei fax, non c’erano Facebook, Instagram o Twitter, eppure il comportamento belluino delle élite si sposava morbosamente con un sentimento linciatorio della stragrande maggioranza, tutta roba che, al confronto, il risentimento populista e la mania di sputtanamento dei social sembrano zuccherini.

 

Si può forse osare oltre. Quando Salvini faceva il Truce e il grillismo del vaffanculo dominava, i social furono veicolo di ammasso delle coscienze ma anche di divisione, lì il dissenso non andava a morire, si esprimeva, trovava un canale per fluire nell’oceano di vecchie e nuove mascalzonate, il che non avveniva all’epoca in cui giornali e telegiornali, associazioni, cattedre di moralità pubblica e molti altri soggetti attivamente impegnati nel linciaggio dettavano le regole della ripulsa unanimistica del sistema, senza badare alle distinzioni, senza ragionare su storia e vita di una Repubblica alla cui ombra si era manifestato il peggio dei vizi, ma anche il meglio delle virtù italiane. Si stava peggio quando si stava peggio, ora paradossalmente si sta meglio.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.