L'intervista

"A fine anno produrremo vaccini italiani. Conte ha perso tempo". Parla Tria

"Meglio un eccesso di produzione che non averne"

Carmelo Caruso

"La produzione dei vaccini è strategica, un problema di sicurezza nazionale. Eccesso regolatorio non ci favorisce. Meglio dosi che ristori". Intervista all'ex ministro Tria che gestisce il dossier della produzione dei vaccini italiani per il Mise di Giorgetti

Roma. Professore Giovanni Tria, l’abbiamo lasciata economista e la ritroviamo consulente di Giancarlo Giorgetti. Ma lei al Mise cosa è andato a fare? “A dare una mano, a recuperare il tempo perso, a fare in modo che l’Italia possa avere una produzione di vaccini e dunque favorirla. E’ un problema di sicurezza nazionale ma è anche la nuova frontiera della nostra farmaceutica”. Vi siete messi in testa di produrre vaccini. Il progetto è partito ma in pratica dove siete arrivati? “Potremmo farcela per la fine dell’anno e inizio del prossimo”. Perché solo adesso? “Abbiamo perso un anno. In passato non si è creduto abbastanza”.

 

E’ consulente a titolo gratuito, ex ministro del primo governo Conte. E ovviamente docente di Economia Politica. Caro professore, sarà un liberale come lei che ci porterà i vaccini made in Italy? “Non sarò io, ma un governo che ha deciso che produrre vaccini è quanto di più strategico. Trovo scandaloso quanto sta accadendo in Europa. Mi riferisco agli stati. Andiamo in giro con il cappello in mano per acquistare vaccini.  L’Italia ha tutte le capacità scientifiche, le competenze che servono a produrli. La nostra farmaceutica è stata fra le più gloriose ed è la prima in Europa per quantità di produzione anche se molto per conto terzi. L’errore è stato stare a guardare”. Pure Mario Draghi la chiama “autonomia vaccinale”.

 

Professore, non è un’espressione che sa tanto di “vi facciamo vedere noi”? “Faccio osservare che Trump aveva delle strane idee sulla pandemia, che non commento, ma  ha investito 10 miliardi sulla ricerca. Stessa cosa Inghilterra, Russia, Cina. E perfino la piccola Cuba ha prodotto un suo vaccino. Noi stiamo andando avanti con scostamenti di bilancio. Oltre 140 miliardi di euro mentre abbiamo bisogno di un vero piano sanitario. E’ meglio proseguire con i ristori o capire che solo con una produzione nazionale riusciremo a superare gli anni che ci aspettano?”. Per Macron la produzione dei vaccini è una “questione di indipendenza”. In Francia, il 5 aprile, è partita. Sono stati più perspicaci loro o siamo stati un po’ tontoloni noi? “Probabilmente meno perspicaci noi oppure diciamo che pensavamo ad altro…”. Va bene, ma adesso? Che vi manca, che attendete? Cosa fate? “Ci serve il trasferimento di tecnologia, ottenere licenze. Una volta ottenute ci occuperemo della capacità produttiva che vi assicuro esiste”. Quali saranno le aziende coinvolte? “Sono serie e rigorose e chiedono la riservatezza. Si fa così”. E allora perché non si fa subito?  “Non si fa in un giorno, dopo quasi un anno perso. Poi l’Italia ha un handicap di tipo regolatorio. Il nostro è un sistema che prevede diversi passaggi e autorizzazioni. I tempi pesano. E qui rischiamo quando vogliamo attrarre ricerca e produzione in Italia. Le imprese e i nostri ricercatori sono competitivi il sistema regolatorio no. Faccio un esempio. Se in Inghilterra posso produrre un principio attivo in nove mesi e in Italia in un anno e mezzo, inutile dire quale paese viene scelto”.

 

ThermoFisher, e lo aveva annunciato sempre il premier, produrrà il vaccino Pfizer. In Italia, si sta sperimentando quello Reithera. Quali dei due avremo prima? “Reithera deve ancora concludere i test clinici”. Qualcuno dirà che rischiamo di iniziare la produzione italiana quando raggiungeremo l’immunità di gregge. E’ ancora convinto di proseguire nel suo progetto? “Non è un mio progetto, ma del governo. Non sappiamo quali varianti dovremo combattere. Sappiamo però una cosa. E’ che i vaccini ci serviranno a prescindere da questa pandemia. Un paese acquista paracadute e torpedinieri non perché desidera fare la guerra ma per mettersi al sicuro”. Ma se  ne acquista troppi, in economia come si chiama questo fenomeno? “Ed è qui che volevo arrivare. L’Italia non deve avere paura dell’eccesso di produzione. Sono il primo a desiderare che quelle dosi vengano prodotte per non essere utilizzate. Sono scorte che ci permettono di non vivere nell’incertezza”. Lei si fida di questi vaccini? Astrazeneca prima e Johnson & Johnson ora. Si è vaccinato? “Sì. Con Astrazeneca. Come sente, sto bene”. Ultimamente tutti  offrono date. Vuole provarci? “Possiamo farcela per la prossima campagna vaccinale. Non cerchiamo date e pensiamo che i vaccini ci serviranno e dico purtroppo per tanto tempo. Gli investimenti in ricerca farmaceutica, ripeto, cosa sono rispetto a quello che stiamo spendendo con i ristori?”. Come si trova con Giorgetti? Ci ha litigato? “Mi sto trovando benissimo”.

 

 

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  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio