Il futuro del Pd

"A Letta non consiglio di stare sereno". Parla Gianni Cuperlo

Alla vigilia dell'Assemblea, dopo otto avvicendamenti di segretario

Marianna Rizzini

"Le alleanze non sono mai un fatto solo numerico, che pure conta perché con il 20 per cento non sei un'alternativa", dice Cuperlo

Roma. In attesa di Enrico Letta, ci si domanda da dove passi il confine tra crisi e opportunità per la sinistra. E Gianni Cuperlo – presidente della fondazione Pd, a lungo deputato di area dalemiana, candidato alle primarie 2013 – pensa che la linea di confine passi “dall’onestà di riconoscere i problemi di ora e dal coraggio di ribaltare il tavolo mettendo mano, dopo un quindicennio, a identità, forma, linguaggio e qualità della classe dirigente del partito più grande. Meno di questo e metteremo la polvere sotto al tappeto”. La realtà, dice Cuperlo, “è che oggi di un Pd rigenerato ha bisogno il paese, almeno se pensiamo che una alternativa alla destra sia decisiva. Il punto è che il partito com’è adesso certifica quasi la negazione del disegno che ne stava all’origine. Otto segretari, due scissioni guidate dai due leader più longevi, un correntismo sterile perché depurato da un vero conflitto tra idee e politiche, e ridotto a filiere di comando, il tutto mentre l’Italia è alle prese con la crisi sanitaria e sociale più grave del Dopoguerra: cos’altro deve accadere perché si prenda atto che la prova non è metter mano a un paio di norme dello Statuto?”. Qualche giorno fa Cuperlo ha detto “Zingaretti ci ripensi”. Però una parte consistente del partito, anche da sinistra, chiede aiuto all’ex dc Enrico Letta, magari pensando che con il suo ritorno possa tornare anche la sinistra anti-renziana.  “Tutto sta a capirsi. Dopo l’anno terribile alle spalle e quello difficile che stiamo vivendo, la sinistra deve riscrivere intere categorie del proprio pensiero. Non c’entra nemmeno più la subalternità, che pure vi è stata, al liberismo temperato della Terza Via, bisogna ripensare il modo in cui abbiamo affrontato l’ultimo trentennio, nella lettura di rivoluzioni profonde, tecnologiche ma non solo, e di disuguaglianze via via più invalidanti. Un mondo scomposto a cui va ridato un ordine. Penso all’idea di Stato, al ruolo del ‘pubblico’ che la pandemia rilancia, dalla sanità alla formazione al valore dei beni comuni. Letta ha il compito difficile di agganciare il Pd a questo convoglio, restituendo anche una dote di orgoglio a tante e tanti che, senza riflettori addosso, tengono in vita i circoli, fanno le tessere, discutono  oppure, come è accaduto in questi mesi, raccolgono beni alimentari per chi non ce la fa”.  Come ripartire, è il problema.  Fino a che punto è priorità l’alleanza con i 5Stelle? “Le alleanze non sono mai un fatto solo numerico, che pure conta perché col 20 per cento non sei una alternativa, ma una dignitosa minoranza. E però quelle alleanze devono riflettere l’idea di paese che hai in testa. Leggevo i dati Istat: 330mila famiglie precipitate in un anno nella povertà assoluta, un milione di persone che si somma ai quattro milioni e mezzo che c’erano già. I consumi di base delle famiglie, significa il carrello della spesa, sono tornati ai livelli del 2000. Aggiungo i cinquecentomila posti di lavoro persi e il fatto che i vari lockdown hanno colpito per primo l’arcipelago della precarietà. Ecco, la priorità per il Pd è scritta. Poi, ovvio che a differenza dell’Istat i progressisti devono offrire le soluzioni, ma non è su quelle che vedo i limiti maggiori di ora: le proposte le abbiamo e non sono uguali a quelle degli altri. Per dire, sulle pensioni Quota 100 è un’altra visione rispetto alla nostra Ape sociale che guarda ai lavori gravosi e pesanti. E così sul sostegno al reddito, sull’idea di sostenibilità, sulla trasformazione delle città dove ad agire sono sindaci di frontiera, associazioni e la rete del civismo”. Nel 2013, proprio a Letta Cuperlo aveva chiesto di allargare il Pd a pezzi della società.  Poi nel 2014 Cuperlo ha votato l’ordine del giorno di Renzi, pur ribadendo la lealtà verso Letta. Che cosa gli consiglierebbe oggi? “Penso di ricordare quel tempo e anche il dopo, fosse solo per esperienza diretta. Quel voto fu un errore, ma forse il limite di tanti risale a prima, al non avere compreso il disegno politico di chi aveva vinto a quel modo le primarie. Quanto a Enrico so cosa non gli consiglierei: di stare sereno”.

 

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.