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Il duello della politica sullo sport

David Allegranti

 La delega ce l’ha ancora Draghi, sullo sfondo c’è lo scontro Malagò-Giorgetti

Tutti vogliono lo Sport, la nomina che ancora manca del governo Draghi, una persona “competente e preparata”, almeno è quello che dicono a parole, dal presidente del Coni Giovanni Malagò in poi. Sparito il ministero competente, e anche il ministro se è per questo, Vincenzo Spadafora, per quanto i Cinque stelle ci abbiano puntato e tutt’ora insistano per farlo diventare almeno sottosegretario, restano le macerie di uno scontro che è politico e di potere (anche molto romano, come dimostrano alcune vicende giudiziarie collaterali, come quella che coinvolge Malagò a proposito del caso Massimo Bochicchio). E sono queste macerie il motivo per cui Draghi potrebbe affidare la delega a un tecnico, sottraendolo al duello in corso fra il Coni e Giancarlo Giorgetti.

 

Si dirà: che cosa c’entra Giorgetti? C’entra molto, perché questo scontro arriva da lontano. L’attuale ministro dello Sviluppo economico nel primo governo Conte aveva, da sottosegretario alla presidenza del Consiglio, la delega allo Sport. E’ sua la riforma che ha riorganizzato il Coni, con una divisione tra il Comitato Olimpico e Coni Servizi, poi sostituito da Sport e Salute, società partecipata al cento per cento dal Mef. Al centro della questione, ça va sans dire, i quattrini. Secondo la riforma, il 32 per cento delle entrate fiscali provenienti dallo sport che lo Stato versa ogni anno al Coni è adesso diviso tra Coni e Sport e Salute. In totale sono 400 milioni: 40 vanno al Coni, il resto a Sport e Salute. Un cambio non da poco per un settore, lo sport, in cui finora spadroneggiava il Coni. Lo ha spiegato bene di recente Franco Carraro in audizione al Senato: “Dal 1945 al dicembre 2018 il Coni (Comitato Olimpico Nazionale Italiano e Federazione delle Federazioni) ha di fatto stabilito la politica sportiva italiana ed ha gestito lo sport. Il governo ha la vigilanza sul Coni ma, come è noto, la vigilanza è un controllo di legittimità. Fino al 2003 il Coni si è autofinanziato attraverso i proventi del Totocalcio, che il Coni stesso ha gestito; dal 2003 al 2018 il Coni ha beneficiato di un contributo dello Stato. La Legge di Stabilità, approvata dal Parlamento nel dicembre 2018, ha profondamente modificato la situazione con un provvedimento molto rilevante, contenuto in poche righe”. L’8 agosto 2019 il Parlamento ha approvato una Legge delega al Governo in materia di sport. “L’articolo 1 della delega, ha spiegato Carraro, “prevedeva, tra l’altro, che si ripartissero con chiarezza le competenze tra il Governo, il Coni e la Società Sport e Salute, precisando ciò che il Parlamento non aveva potuto definire compiutamente nella Legge di Stabilità. La mancata attuazione da parte del Governo dell’articolo 1 della delega crea un reale problema in quanto rimangono non ben definite e delimitate le varie competenze”.

  

Malagò non ha mai nascosto la sua ostilità alla riforma di Giorgetti, che adesso è tornato al governo e ha sempre un occhio a un settore che gli interessa molto (con un’idea semplice: a risorse pubbliche devono corrispondere politiche pubbliche). Negli anni il presidente del Coni ha invece costruito, a partire dal secondo governo Conte, un rapporto ravvicinato con l’ex ministro Spadafora. Chi segue il dossier però osserva che il mondo Malagò sta facendo circolare molti nomi sui giornali. Da Patrizia Prestipino, deputata del Pd, a Luciano Nobili, deputato di Italia viva, a Luca Marin di Forza Italia a Claudia Bugno, già consigliera del ministro Giovanni Tria.

 

I Cinque stelle, oltre a quello di Spadafora, avrebbero anche altri nomi da spendere. Come Fabiana Dadone, che è ministro per le politiche giovanili (come Spadafora, che nel secondo governo Conte aveva anche la delega allo Sport), o Simone Valente, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai Rapporti con il parlamento, uno che parla poco e che viene per questo ribattezzato “il Draghi dei Cinque stelle”. Draghi dovrebbe decidere a breve. 

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.