(foto Ansa)

I tabù che il Pd deve affrontare con Draghi per diventare adulto

Paolo Cirino Pomicino

Mentre il paese recupera fiducia, i dem navigano in acque tumultuose: le loro torsioni non hanno nulla di "burlesque" quanto piuttosto il profilo di una crisi esistenziale

Mentre infuria la battaglia contro un virus insidioso con le sue varianti sempre più contagiose si è presentata improvvisamente sulla scena politica un saggio del teatro burlesque, l’implosione del movimento 5S con l’arrivo a Roma del suo fondatore, Beppe Grillo, con in testa un casco di astronauta. Una riunione urgente tra l’astronauta, il professore Conte e un po’ di dirigenti “governisti” si è rapidamente conclusa con l’incoronazione del professore come possibile presidente e guida del nuovo movimento. Nel vedere Grillo con quel casco a tutti è scappata una risata ma quando si ride della politica si è giunti alla frutta. E purtroppo così sembra dopo il varo del governo Draghi.

 

L’implosione dei 5S – che non è stato un botto e via ma uno scoppio e poi ogni giorno altri piccoli scoppi con altre espulsioni e critiche crescenti – non riguarda solo i 5S ma anche i democratici come dimostrano le improvvise dimissioni di Nicola Zingaretti dalla carica di segretario nazionale. La crisi del Pd non ha nulla di “burlesque” quanto piuttosto il profilo di una crisi esistenziale. Nell’anno e mezzo passato al governo con i grillini hanno seguito pedissequamente la loro agenda votando tutto ciò che nel passato avevano fortemente contrastato. A cominciare dalla riduzione dei parlamentari senza aver fatto prima una legge elettorale alla riforma della prescrizione senza aver fatto prima la riforma del processo penale per non parlare poi delle tante questioni aperte e non chiuse dai grillini (Ilva, Alitalia, Autostrade) oscillando tra spinte liberiste e nuovi statalismi. Insomma il partito di Zingaretti ha finito per essere un banale gregario immolandosi poi fino alla morte politica nella difesa del presidente del consiglio. La conclusione di questo pasticcio è il governo Draghi che conferma però il vecchio detto agostiniano “ex malo bonum”.

 

Mentre il paese recupera fiducia il Pd naviga in acque tumultuose. E nel frattempo Zingaretti ha imbarcato nella giunta regionale del Lazio i grillini immaginando che la discussione sulla identità del partito e della sua visione della società possa essere racchiusa nella politica delle alleanze. Lentamente i nodi di un sistema politico come quello italiano fondato su partiti senza alcuna identità culturale e politica stanno venendo al pettine in particolare  sul versante della sinistra dove l’Unione degli ex comunisti e un pezzo della sinistra democristiana ha fallito da tempo l’impossibile missione di essere, come la DC, l’architrave dell’intero sistema politico. La sua stessa vita lo dimostra posto che in 13 anni di vita ben due segretari nazionali (Bersani, e Renzi) e un reggente (Epifani) hanno lasciato il partito mentre il primo, Walter Veltroni, si è distaccato dandosi al cinema ed al giornalismo sue antiche e vecchie passioni. Se in 13 anni è accaduto tutto questo e nell’ultimo biennio si è stati al traino di Conte e Di Maio perdendo connotati e passione qualche problema deve averlo questo Pd testimoniato peraltro dalla inconsistenza dei presunti candidati sindaci nelle grandi città dove in autunno si andrà a votare. Dove sarà mai finita la vecchia tradizione dei grandi sindaci comunisti, da Novelli a Zangheri per finire a Valenzi se oggi si parla di Marchisio a Torino e del nulla a Napoli? Il respiro che il governo Draghi può dare al paese va colto rapidamente dai partiti o si perde l’ultima occasione per ridare all’Italia una politica e dei protagonisti di stampo europeo che sappiano innanzitutto cosa essi sono culturalmente e quale visione hanno di un mondo che verrà.