Conte e Zingaretti, gran mediocri decisamente meglio dei pessimi

Giuliano Ferrara

La politica andrebbe considerata in una prospettiva meno ludica e più saggia

Il poco rispetto che ottengono i mediocri è segno della mediocrità dell’opinione e del costume nazionale. Conte e Zingaretti sono due mediocri, si sa. In senso oraziano. Conoscono i propri limiti, non illudono, non si illudono. Non si ricordano grandi loro discorsi. Manca il carisma, quella funzione di guida naturale che ha dello spirituale. I loro attributi sono modesti. Non è difficile aggirarli con una manovra disinvolta, spericolata, subiscono ogni tipo di bullismo, spesso esitano, sono sottomessi nel linguaggio che non ha mai niente non dico di profetico ma almeno di visionario. Eppure i mediocri sono meglio dei pessimi, dei tonitruanti che si spiaggiano. Ottengono risultati, garantiscono l’ordinarietà che è un aspetto da non sottovalutare dell’organizzazione civile e politica.

 

Ora è esploso il gaudio, enfatizzato dai soliti ruffiani in ritardo, per un talento puro come Draghi, che da tempo qui si individuò come la grande eccezione da cui ripartire sulla base del TrisConte che gli ha dato undici ministri, un tecnico che è anche il meglio figo del bigoncio politico europeo e italiano, non dico eccellenza perché da noi le eccellenze sono mediocri, e non in senso buono. Normale che i mediocri migliori, gli ottimi, aurei gran mediocri, subiscano il contraccolpo, chi alle prese con il casco d’astronauta dello showman, chi con le correnti di partito efferate nello spirito autolesionista.

 

Qualcuno sa che cosa si dovesse fare del Pd al 18 per cento, nel pieno di un’ondata basso populista, con i grillini No euro al 32 per cento e il centrodestra che spodestava il Cav. e incoronava il Truce e Meloni? Qualcuno ha idea di che cosa abbia significato, e piuttosto malvolentieri, creare una maggioranza antipopulista, europeista, in questa legislatura, con questi materiali, partendo da posizioni di minoranza nel paese? Fare quel che si doveva fare nella pandemia, con risultati non inferiori a quelli della Francia, era così scontato? Approdare infine a un governo di stato e di mercato, suggellato dall’unità in nome della salvezza nazionale, per spendere bene soldi procurati dal governo precedente e fare riforme in attesa da decenni, con un Infiltrato pericoloso e sempre trucista nell’animo che deve prendersi vendette e rivincite e non ha ancora capito che la sua stagione è tramontata per sempre, e fare tutto questo sopportando il peso della divisione e della sfida interna che fa da corteggio a tutta la storia della sinistra e del centrosinistra e delle sue guerre dei capi?

 

Questa professione anche mediocre che è la politica di quel che resta dei partiti andrebbe considerata in una prospettiva meno ludica, meno imprudente, più saggia, ma è un vasto programma, troppo vasto. In un paese di carciofini sott’odio (Longanesi) quelli con la zeppola, con il lapsus, con il curriculum taroccato, popolari o impopolari o generatori di indifferenza che siano, sono destinati all’incomprensione, all’astio ribaldo, all’anticipo di antipatia. Zingaretti non è Nasser dopo la Guerra dei sei giorni, le sue dimissioni non comporteranno un plebiscito delle masse, niente di risonante e di musicale scuote l’aria stagnante del suo partito, e seppure non ci sia una maggioranza alternativa, né si vede un Draghi portatile capace di ricostruire una grande tenda, o amalgama, e di farlo riuscire, le sue dimissioni annunciate su Facebook hanno qualcosa di triste, di avvilente. Parteciperemmo ai festeggiamenti anarcoidi e strafottenti se non fossimo in zona rossa o arancione scuro, se fossero mediocri in senso buono anche i problemi tragici che solo i faticoni della professione hanno affrontato non dico con cipiglio, ma con una certa cura estranea al carattere e al costume nazionale.

 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.