Una vita (agra) da Zinga

Zingaretti e le sue spine: "Mi trafiggono come san Sebastiano"

Congresso, presenza femminile, ruolo dei vicesegretari

Carmelo Caruso

La richiesta di congresso anticipato, l'opposizione sempre più dura di Stefano Bonaccini, il futuro ruolo di Andrea Orlando (lascerà?). La vita agra del segretario del Pd: colpevole di tutto e mai lodato per qualcosa

Roma. E’ l’unico che quando vince dicono che non vince e che quando perde dicono  “ha perso tutto”. Gli hanno rimproverato sia la fine che l’inizio del governo Conte, l’unione con il M5s, la scarsa presenza femminile nel governo Draghi. Quando ieri pomeriggio, Nicola Zingaretti ha parlato, ed era ai microfoni della radio di partito, raccontano si sentisse come san Sebastiano: “Mi trafiggono anche gli amici”. Stefano Bonaccini aveva appena dichiarato che le parole di Matteo Salvini, sulle riaperture,  erano ragionevoli.  E infatti Salvini lodava subito Bonaccini ma solo per fare male a Zingaretti. Si bis-infiltrava.


Zingaretti si tratteneva. Di Salvini è riuscito a dire: “Sulle tasse progressive lo convincerò con le parole di don Milani”. Non voleva sbranarlo ma cambiarlo e deve sentire sul serio il peso della responsabilità che è forse la sua maledizione, se, sempre ieri, ripeteva: “Saremo i garanti più gelosi dell’agenda Draghi”. Ha aperto al congresso del Pd che non ha nessuna intenzione di ostacolare. E non è vero neppure che sarà “a tesi”, che è la paura agitata dall’opposizione interna: “Lo vuole a modo suo che non può essere il modo nostro”.

 

Non le aveva preparate ma garantiscono che gli siano quasi uscite naturali quelle parole “sono d’accordo che debba essere riaperto un dibattito nel partito” e che, quando ha promesso che la forma del congresso “la decideremo insieme e senza astio”, abbia quasi sospirato per poi aggiungere, non ascoltato: “Io non cambio. Per me il Pd deve rimanere unito e unitario. Ho puntato tutto su questo. Non mi pento”. C’è chi pensa che si stia già immergendo che è l’astuzia delle astuzie e che dunque si limiterà a fare il governatore della regione Lazio. Da giorni parla di vaccini e pure ieri, mentre lo intervistavano con affetto ma senza adulazione, ha spiegato che lui “è prudente” ma che l’idea di Giancarlo Giorgetti, di produrre in casa i vaccini, “potrebbe essere una svolta”.

 

Che male c’è a dire che soffre senza dirlo? Che male c’è a dire che non è solitudine ma qualcosa di vicino e che le accuse di alcune deputate come Giuditta Pini, Chiara Gribaudo, la loro offensiva, l’invito alle donne del Pd a rinunciare a qualsiasi incarico, lo hanno ferito più delle richieste periodiche di svolta da parte dei sindaci di Firenze, Dario Nardella, e di Bergamo, Giorgio Gori? Una delle più care amiche del segretario è Cecilia D’Elia che ha partecipato a tutti gli incontri con Draghi. Quando Zingaretti ha conquistato la segreteria ha ripristinato il forum delle donne. Da presidente di Regione aveva varato la giunta più rosa di sempre. Ha voluto come sua vicesegretaria, Paola De Micheli, che è poi diventata ministra. Al Nazareno gli hanno sentito esclamare: “Sono stato quello che ha sempre lottato per avere più donne. Ho preso il Pd quando si ragionava di chiuderlo. Ho sostenuto Gentiloni e Sassoli. Sono il segretario che ha convocato più direzioni. Che devo fare?”.

 

Un importantissimo esponente dell’area riformista dice che quelli che un tempo venivano considerati gli sleali del Pd  sono oggi i più leali verso Zingaretti e che fra un anno potrebbe trovare in loro la sicurezza che oggi Bonaccini gli sta facendo mancare. Un’alleanza? Dicono insomma che non sono come Bonaccini che “oggettivamente lo sta braccando e che così gli toglie il fiato”. Ma Zingaretti non attacca Bonaccini e non ha neppure la batteria di parlamentari che Matteo Renzi scatenava quando aveva la necessità di difendersi, di attaccare, di ribadire il comando.

 

Da segretario non vuole andare neppure nei talk e non lo fa perché tenta di somigliare a Draghi ma “perché uscire dopo le 22 non è un buon esempio da dare. E poi la sera voglio stare con mia moglie. Preferisco il salotto di casa mia ai salotti di casa altrui”. Quando Bonaccini era insicuro di vincere in Emilia-Romagna, un giorno, in silenzio, Zingaretti prese un treno e andò a Bologna per chiedergli: “Dimmi come il partito ti può aiutare. Dimmi come io ti posso aiutare”. Per Gori, rivelano invece, che avrebbe studiato un incarico di rappresentanza di tutti i sindaci del Pd.

 

Tutti sanno che il 13 e 14 marzo, durante l’assemblea nazionale, gli verrà chiesto di decidere sul doppio incarico di Andrea Orlando, che è ministro del Lavoro, ma anche vicesegretario. Avvisa un parlamentare: “Ci aspettiamo che chi come Orlando si è sempre opposto al doppio incarico lasci almeno uno dei suoi incarichi”.

 

Zingaretti in passato ha lasciato. Da capogruppo del Pd al Parlamento europeo, quando il partito gli chiese di candidarsi presidente della provincia,  ci pensò solo mezza giornata. Rinunciò a uno stipendio che era sei volte superiore: “Me  lo chiedeva il partito”. E’ quello che Zingaretti vorrebbe si dicesse di Zingaretti. Colpevole di tutto e mai lodato per qualcosa.
 

Di più su questi argomenti:
  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio