"Dov'è mario?"

I partiti s'interrogano sul nuovo governo, ma Draghi resta una sfinge. Salvini ci spera, Zinga forse

Valerio Valentini

Il Pd come la Lega brancolano nel buio. I leader meditano un ingresso nell'esecutivo, Orlando spinge il segretario dem, che si trascinerebbe anche il capo del Carroccio. Ma nessuno sa davvero cosa abbia in mente il premier. L'ipotesi del giuramento nel fine settimana. 

A riportarla così come circola nelle segreterie dei partiti, nei conciliaboli accalorati in Transatlantico, sembra quasi di riecheggiare la serie televisiva di Corrado Guzzanti. "Dov'è Mario?". Tutti se lo chiedono: nel Pd come nella Lega, in Forza Italia come nel M5s. Sono tutti lì, che si arrovellano e si interrogano intorno al silenzio del premier incaricato. E lui invece si fa sfuggente proprio quando tutti vorrebbero afferrarlo, capirne le intenzioni. Perché Mario Draghi ha dato rassicurazioni a tutti, quando c'era da mostrarsi accomodante coi partiti che si alternavano nella Sala della Lupa per le consultazioni,accampando ciascuno la sua piccola pretesa. E invece ora, ora che c'è da discutere di quel che più conta, e cioè dei posti di governo, pare quasi dileguarsi per le strade del centro di Roma, quelle che da Montecitorio portano a Via Naziaonle, nella sede di quella Banda d'Italia di cui il premier incaricato è stato governatore, e dove conserva uno studio in cui ama ritirarsi per gli incontri più riservati, più decisivi.

 

Solo che nessuno sa niente, delle intenzioni reali di Draghi. E anzi, essendosi diffusa la voce secondo cui già domani il presidente del Consiglio potrebbe salire al Colle con la lista dei ministri, per poi procedere al giuramento nel fine settimana, la fibrillazione nei partiti è aumentata. I fedelissimi dei vari leader si cercano, si confrontano, e trovano nello sconforto reciproco la conferma della propria inquietudine. I leghisti hanno contattato il Nazareno. "Voi sapete niente?". "Niente". "Noi brancoliamo nel buio". "Come tutti". 

 

Ed è in questa incertezza che s'ingrossano anche le aspirazioni dei capi. Perché Matteo Salvini, ad esempio, a entrare nel governo Draghi ci tiene eccome. Sia perché vuole intestarsela in prima persona, questa svolta imposta al suo partito ("Non ho paura di metterci la faccia", diceva il segretario del Carroccio ai suoi confidenti, ieri sera), sia perché entrare nella foto di rito al fianco dell'ex presidente della Bce potrebbe essere, per Salvini, la migliore benedizione per un futuro in cui lui si vede già a Palazzo Chigi.

 

E in questo è confortato dal fatto che quasi tutti gli altri leader nutrono più o meno le sue stesse ambizioni, e le inzuppano nelle stesse incertezze. Non solo Roberto Speranza, ovviamente, che resta l'unico nome che Leu continua a spendere per conservare il suo avamposto nell'esecutivo: "Speranza non si tocca", dicono i bersaniani. E Speranza, appunto, è il segretario di Articolo Uno, insomma il capo di una delle due componenti di Leu. Ma poi c'è anche Nicola Zingaretti, che finora s'è guardato bene dal negare una sua volontà di diventare ministro nel gabinetto di Draghi. Anzi, ieri è stato proprio Andrea Orlando, il suo vice al Nazareno, a rilanciarne la candidatura: "Un ministero per Nicola? Perché no. Ce lo vedo assolutamente". E forse l'ex Guardasigilli lo dice perché sa che, entrando Zingaretti al governo, lui verrebbe promosso a segretario. Ma la sostanza è che tutto questo attivismo intorno al presidente del Lazio induce Salvini a crederci davvero: "Se entrano i leader, entrano tutti. Nessuno può porre veti sui singoli", ripete il capo della Lega. Sempre che Draghi, ovviamente, li voglia davvero, i leader. Ma capire cos'ha in mente il premier incaricato, risolvere l'enigma della sfinge di Città della Pieve, resta un'impresa improba per tutti. E a proposito: dov'è Mario?

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.