Il pressing del Pd su Zingaretti

David Allegranti

“Serve una iniziativa forte del segretario, che ora non c’è”, dicono nel Pd. E non solo sul Recovery fund

E’ il giorno del voto sulla risoluzione del Mes in Senato. Matteo Renzi fa fuoco e fiamme dal fine settimana praticamente su tutto, Nicola Zingaretti la butta in tribuna parlando di parità salariale: “Vogliamo che la parità di genere diventi un obiettivo centrale del Recovery Fund. Perché la parità di genere non è solo giusta, ma è anche conveniente, aumenta la ricchezza di tutti”.

 

Il senatore del Pd Francesco Verducci scuote la testa e dice al Foglio: “L’ultima direzione del Pd si è conclusa il 26 ottobre con un mandato pieno a Zingaretti, approvato all’unanimità. Lo abbiamo votato affinché si facesse lui protagonista di un patto di legislatura, di fatto aprendo una fase nuova nel governo. Tutto questo però non c’è e si va in ordine sparso. Eppure, mai come in queste ore serve un Pd che faccia il Pd. Serve insomma una fortissima iniziativa politica. Ci sono sì singole voci ma serve che Zingaretti faccia il segretario. Il suo silenzio è paradossale”. L’attesa per una ferma presa di posizione zingarettiana si fa lunga insomma. Anche se c’è chi dice, nel Pd, che bisogna accontentarsi di quel che c’è oggi. “Il Pd non è l’anello debole ma non è una fase nella quale ci si possa aspettare che prenda posizioni pirotecniche”, dice al Foglio il senatore Luigi Zanda. “Vede, noi viviamo una fase complessa di transizione e la stiamo attraversando in un modo eretico. Stiamo cambiando la forma di governo del paese per via di prassi e non per via di riforma costituzionale. C’è il governo che si fa legislatore e il parlamento è sempre più ai margini del sistema politico”. Anche su Mes e Recovery Fund? “Mi sembra che ci sia stata una drammatizzazione nei giorni precedenti, ma che come al solito si è già ricomposta. Dentro il governo tuttavia si accentua una trasformazione del presidente del consiglio in capo del governo; da primus inter pares a autorità sovra ordinata”.

 

In tutto questo, osserva Zanda, “il Pd ha fatto quello che poteva per evitare i pieni poteri di Salvini, evitando che rimanesse ministro dell’Interno. Il Pd ha portato l’Italia in Europa, dalla quale si stava allontanando, e sta imponendo la modifica dei decreti sicurezza. Questo governo insomma ha una condotta molto più responsabile di quella del governo gialloverde. Il Pd fa il suo mestiere. Si immagini se ci fosse un parlamento senza Pd. Io non starei tranquillo”. Insomma, osserva Zanda, la questione non riguarda Zingaretti, “che è il segretario del Pd e non sta al governo”: si sente però il bisogno “di un discorso politico del presidente del Consiglio che dia una visione del futuro del paese ed esprima la sua opinione sugli scenari che si aprono adesso. Il che non riguarda solo la riforma del Mes e il Recovery, ma i prossimi due anni di legislatura”.

 

Il pressing del Pd è insomma su due fronti. Da una parte sullo stesso segretario Zingaretti, dall’altro su Giuseppe Conte. E Matteo Renzi? Sembra essere l’unico a divertirsi in questo momento, osservano nel Pd, tra i riformisti: “Stiamo regalando a Renzi la facoltà di andare al voto subito e con il Rosatellum”, dice al Foglio un parlamentare del Pd, “che è quello che lui vuole (perché solo con il Rosatellum ha la garanzia di poter determinare chi entrerà di Iv in Parlamento, costringendoci ad accordo su collegi in stile Più Europa 2018. Qualunque altra soluzione per lui e il suo cerchio magico è un assoluto terno al lotto, anche se supera di poco il 3 per cento (vedi Sel  nel 2018). E sono sicuro che Renzi dopo questa scommessa mezza-vinta sul Recovery Fund ci porterà al voto, spingendo sulla disperazione crescente dei suoi parlamentari”.  Sarebbe insomma uno scenario da giocatore di poker, al quale Renzi ci ha abituati da tempo. E il segretario del Pd, in tutto questo? Forse cerca un centro di gravità permanente, mentre Renzi per un giorno, osserva Paolo Madron su Twitter, è tornato a essere segretario del Pd.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.