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L'offerta di Di Maio. Dieci punti per una svolta

Luigi Di Maio

“E’ ora di costruire un progetto più ampio superando gli steccati ideologici”. Giustizia, Ue, lavoro. Il ministro degli Esteri anticipa al Foglio un piano trasversale per l’Italia del futuro

Gentile direttore, dagli shock degli ultimi decenni e dai cambiamenti delle dinamiche globali l’Italia è uscita indebolita e più fragile. Si è agito quasi sempre di rimessa, senza un progetto complessivo che consentisse di superare i mali storici del paese e porre le basi per un piano di rilancio e sviluppo. La visione di corto raggio ha finito per prevalere, il piccolo cabotaggio si è imposto sulla sfida della navigazione in mare aperto verso destinazioni nuove e promettenti, appannando la consapevolezza e la fiducia nel valore dei nostri talenti. 

 

In questa cornice, l’ennesimo colpo inferto dal Covid ha mostrato in modo nitido tutte le debolezze del nostro paese e le incertezze di un tempo, che oggi pesano come macigni. Il lavoro svolto finora dall’esecutivo nel quadro dell’emergenza che stiamo attraversando è stato determinante. E ritengo sia giunta l’occasione di compiere uno sforzo in più e impegnarci nella sfida della definizione di un pensiero strategico per il lungo periodo, recuperando il senso e l’urgenza della costruzione del nostro domani e del domani delle nuove generazioni. 

 

Condivido dunque con il suo giornale alcune riflessioni personali che mi auguro saranno accolte e dibattute con giudizio e senso critico, ma anche con spirito costruttivo. Riflessioni sulle quali credo si possa costruire un progetto più ampio, superando gli steccati ideologici. Il mio appello è rivolto a tutti: disarmiamo il conflitto politico, pur restando ognuno al suo posto (maggioranza e opposizione), lavoriamo insieme per rafforzare l’azione di governo. Solo così riusciremo a ricostruire l’Italia e a innescare quel cambiamento culturale che da tempo continuiamo a prometterci. Il voto odierno (di ieri, ndr) all’unanimità è stato un segnale importante.

 

In primis, credo debba essere esercizio comune superare l’idea che possano bastare interventi di riforma settoriali per superare la crisi in corso. Servirà, invece, riprogettare completamente il nostro sistema con l’ambizione di porlo sulla frontiera più avanzata dell’efficienza e dell’innovazione tecnologica e organizzativa ispirata a criteri di sostenibilità ambientale e sociale. Costruire un futuro così orientato significa porne oggi le fondamenta, innalzarne i pilastri, di cui le traccio un profilo in 10 priorità che punti a riportare fiducia nei cittadini. La fiducia è un tema importante. Per farlo, è evidente che sarà necessario intervenire sui tempi di esecuzione, finora troppo lunghi e articolati, creando sistemi di governance o soggetti nuovi per guidare gli investimenti sulla ripresa. Penso ad esempio a un Fondo sovrano italiano o un ente di sviluppo, dotato di procedure e poteri straordinari, con il compito di mobilitare il risparmio improduttivo e avviare velocemente alcuni interventi strategici su infrastrutture e imprese. Sarà inoltre importante adoperarsi affinché l’accountability per l’attuazione dei piani di investimento non sia dispersa tra molteplici amministrazioni centrali e locali come i programmi sui fondi strutturali e di investimento Ue, ma sia attribuita a un soggetto singolo e riconoscibile, con poteri adeguati. 


Rendere il nostro debito pubblico sostenibile

A settembre di quest’anno il debito pubblico italiano ha raggiunto la cifra record di 2.586,2 miliardi di euro. Il vero indicatore di stress del sistema è però il rapporto debito/pil, soprattutto in una fase come quella attuale in cui il debito cresce mentre la ricchezza cala. Come assicurare una dinamica sostenibile del nostro debito? Puntando soprattutto su titoli dai dieci anni in su che, in questa fase, grazie all’ombrello della Bce e del suo piano di acquisto di bond sovrani, garantiscono uno spread contenuto e tassi d’interesse reali negativi. A questo fine, occorre utilizzare tutte le risorse disponibili per il sostegno alla crescita. La cosiddetta fiscal stance deve privilegiare la componente decisiva degli investimenti, mentre gli stessi investimenti pubblici dovranno concentrarsi sulle direttrici che, nel medio periodo, massimizzano il potenziale di crescita: infrastrutture fisiche e digitali, ricerca e trasferimento tecnologico, istruzione e formazione. In altre parole, occorre produrre “debito buono” per rendere sostenibile lo stock di debito pregresso. 


E’ questa la terza via, che il Mef e il ministro Gualtieri hanno il merito di aver già tracciato.

 

Sostegno ai consumi verso comportamenti in linea con le transizioni ecologica e digitale 

La spesa pubblica in Italia nel secondo trimestre 2020 ha raggiunto 225,115 miliardi (+14 miliardi rispetto al II trim. 2019), mentre la spesa per consumi finali delle famiglie nello stesso periodo si è fermata a 220,676 miliardi, -17,2 rispetto all’anno precedente. Se il settore pubblico spende di più, quindi, il privato ha aumentato la sua propensione al risparmio a causa dell’incertezza causata dalla crisi, riorientando allo stesso tempo le scelte di acquisto per privilegiare beni e servizi ritenuti essenziali. Per garantire la ripresa della domanda diventa necessario da un lato tutelare le attività produttive e proiettarle verso un mercato nel quale il digitale e la tecnologia sono il fattore abilitante a garantire la sopravvivenza e la competitività delle imprese. Dall’altro lato, occorre agire sulla fiducia percepita dalle famiglie e dalle imprese per investire nel nostro paese. C’è bisogno di un sistema di incentivi mirati, in particolare, a sostegno di scelte ecocompatibili, in favore di interventi per la messa in sicurezza del territorio e del patrimonio edilizio pubblico più sofferente (scuole, ospedali, reti di trasporto ecc.). In questo senso, l’ecobonus al 100 per cento va nella giusta direzione. Infine, la defiscalizzazione per la formazione e l’aggiornamento delle competenze.

 

Rilanciare la produttività e il supporto al made in Italy 

Negli ultimi 20 anni l’aumento della produttività totale dell’economia italiana è stato pressoché nullo, con un incremento medio del valore aggiunto (+0,7 per cento medio annuo) interamente attribuibile all’impiego complessivo di capitale e lavoro (rispettivamente 0,5 per cento e 0,2 per cento). Nello stesso periodo, peraltro, la crescita media annua della produttività del lavoro (0,3 per cento) è stata inferiore a quella registrata nel resto d’Europa. La chiave per il miglioramento della produttività delle singole aziende e del sistema nel suo complesso risiede quindi nell’adozione di processi di innovazione, riqualificazione tecnologica, miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi di distribuzione nonché apertura a forme di finanziamento diverse da quella bancaria. Bisogna anche considerare la riallocazione di capitale e lavoro verso le imprese con migliori prospettive di crescita, comprese alcune delle micro e piccole imprese a forte tasso di innovatività, che vanno sostenute con strumenti di credito e incentivi fiscali. Bisogna inoltre lavorare per semplificare le procedure autorizzative per gli incentivi e continuare a supportare il nostro made in Italy, al quale abbiamo già dato un forte impulso con il Patto per l’export realizzato alla Farnesina registrando i primi dati positivi di un +2,1 per cento rispetto a settembre 2019.

 

Rendere sostenibili le conseguenze del calo demografico

L’anno 2020 segna un record negativo di nascite in Italia: il tasso di natalità al 4,5 per cento, il dato più basso dal 1861, conferma il trend in atto da decenni. Secondo le stime Istat, l’effetto congiunto del clima di incertezza e paura dovuto alla pandemia e dello shock occupazionale, porterà a un ulteriore ribasso della natalità con i nuovi nati che potrebbero scendere sotto quota 400 mila a fine 2021. In un paese in cui l’età media è 45,7 anni, si prevede che il rapporto tra la popolazione in età da lavoro e popolazione non attiva crescerà a livelli vertiginosi nei prossimi decenni, con impatti fortemente negativi sulla produttività e sul benessere collettivo. Esistono risposte possibili, capaci di rendere sostenibili le conseguenze di una popolazione più anziana. L’occupazione nella fascia di età più alta della forza lavoro (45-54, ma soprattutto 55-64) ha cominciato a crescere esponenzialmente all’inizio degli anni 2000, il problema è che ha mediamente un livello di istruzione più basso della popolazione più giovane. Sono quindi necessari investimenti strutturati per il miglioramento e la riqualificazione delle competenze, a tutte le età. Le aziende devono essere messe in condizione di investire di più in formazione, che ha un moltiplicatore di 1 a 3. Ricordo anche che la Banca d’Italia ha stimato che, se l’Italia raggiungesse la composizione per grado di istruzione della popolazione in età da lavoro della Germania entro il 2040, si otterrebbe nel lungo periodo un aumento del 3,1 per cento del pil pro capite rispetto ai livelli attuali.

 

Lavoro e welfare

Alla fine del 2019, i mercati del lavoro dei paesi occidentali erano nel pieno di una fase di ripresa dopo la crisi finanziaria di inizio decennio e le imprese subivano, come nelle precedenti fasi di “salto” tecnologico, un crescente disallineamento tra domanda e offerta di competenze. Il radicale cambiamento di contesto imposto dal Covid ha spostato il focus verso una crescente e ormai strutturale difficoltà di inserimento/reinserimento occupazionale, che nel nostro paese rischia di concentrarsi soprattutto sui giovani. Il tema principale per rilanciare il paese è se e come verrà riassorbita la forza occupazionale nel mercato del lavoro e quali saranno le competenze del futuro. Intanto, credo sia opportuno in questa fase ripensare alcuni meccanismi separando nettamente gli strumenti di lotta alla povertà dai sostegni al reddito in mancanza di occupazione. Già in più di una occasione ho ribadito la necessità di affinare lo strumento del Reddito di cittadinanza, motivando i percettori a svolgere lavori socialmente utili. La vera grande sfida risiede ancora una volta nell’integrare le politiche di welfare con le politiche attive del lavoro, accompagnando il sostegno al reddito con un grande piano di investimenti per lo sviluppo delle competenze concertato da imprese e Pa. L’opportunità offerta dalla crisi in questo senso è imperdibile perché gli interessi dello stato, delle aziende e dei lavoratori non sono mai stati così convergenti come lo saranno nei prossimi 6-12 mesi. Ma tutto ciò non basta. Ci vuole anche un grande progetto di riavvicinamento sociale che curi la componente emotiva e psicologica immaginando nuove forme di contatto fisico e digitale. Molti italiani usciranno “appesantiti” da questa crisi e con una minore fiducia in se stessi e nelle possibilità offerte dalla vita e dalla società. Sarà necessario intervenire su questi nuovi tipi di fragilità con pratiche di supporto ma anche incoraggiando percorsi collettivi di trasformazione, abbandonando l’eccesso di individualismo e cercando nuove forme di associazione, di progetti comuni, di accordi tra generazioni e generi diversi per creare una nuova mentalità della ricostruzione di cui abbiamo bisogno.

 

Ripensare la scuola: tempi, luoghi e organizzazione

Da inizio anno a oggi, la crisi Covid-19 ha imposto la sospensione della didattica in presenza per oltre nove milioni di studenti, imponendo la riprogettazione degli spazi e dell’apprendimento attraverso il ricorso alla didattica a distanza (Dad) con l’uso massiccio delle nuove tecnologie. La Dad si è rivelata uno strumento essenziale per assicurare la continuità didattica, ma non sempre studenti, famiglie e docenti dispongono delle risorse per beneficiarne appieno. Il 34 per cento delle famiglie non ha in dotazione computer o tablet in casa e solo il 76 per cento di esse dispone di un accesso a Internet. Per affrontare questa situazione di grave difficoltà serve pensare a un modello di scuola strutturalmente diverso, proprio come sta facendo già la ministra Azzolina, perché diversi sono i problemi che la società si trova ad affrontare oggi. Quattro raggi d’azione: autonomia, flessibilità, inclusione, occupabilità. Per autonomia, intendo la possibilità di definire strategie diverse e specifiche sui territori, in base alle necessità riscontrate, con il coinvolgimento diretto delle scuole. Per flessibilità, la possibilità di evolvere a contratti e modelli didattici puramente trasmissivi al fine di rispondere a esigenze emergenziali e, in prospettiva, per adeguare il sistema dell’istruzione a una nuova configurazione capace di trasformare l’emergenza in un’occasione di cambiamento. Inclusione, cioè la capacità effettiva di fare della nuova didattica uno strumento di riduzione del disagio sociale e delle diseguaglianze. Occupabilità, investendo sull’estensione del modello di istruzione terziaria professionalizzante (tramite gli Its) che è ancora residuale nel nostro paese ma, dove funziona, mostra già risultati notevoli sia in termini di didattica che di inserimento occupazionale di chi completa i percorsi. Un primo intervento decisivo è stato già inserito dal ministro Patuanelli in legge di Bilancio.

 

Pubblica amministrazione e transizione digitale

La Pubblica amministrazione italiana, sia centrale che territoriale, soffre ormai da tempo di un declino tecnico significativo, aggravato dalla pressoché totale assenza di capacità di elaborare politiche di riforma. Il lavoro portato avanti finora dalla ministra Dadone è a mio avviso encomiabile e a tal ragione è opportuno che la politica, nel suo complesso, torni a identificare la riforma della Pa come una priorità. Ciò non significa lanciarsi in vaghe idee di sburocratizzazione, ma ripensare un sistema che sia in grado di gestire le crisi presenti e future. In generale, è necessario tornare a investire sulla macchina pubblica, perché la mancanza di investimenti si è trasformata in mancata efficienza e si è riverberata anche sul settore privato e sulle imprese. Sono tre le linee di intervento su cui occorre investire: accelerare la transizione digitale del settore pubblico massimizzando l’integrazione di soluzioni digitali e tecnologiche per l’erogazione di servizi agili e innovativi a favore dei cittadini; ridisegnare le strutture organizzative, rafforzando la presenza dello stato sul territorio, eliminando ridondanze organizzative, riducendo le catene gerarchiche, ricomponendo la frammentazione organizzativa, prevedendo nuovi ruoli e competenze professionali, centralizzando alcune funzioni di supporto. Nei prossimi anni sarà necessario riqualificare l’amministrazione e non si tratterà solo di reclutare nuovo personale, ma anche di programmare accuratamente quali professionalità servono, per quali ruoli e in quali strutture. Per concludere, rivedere la riforma del Titolo V e varare una norma che stabilisca i princìpi fondamentali per tutte e 21 le competenze concorrenti.

 

Potenziare e rendere più efficace la giustizia

L’Italia è terzultima fra i paesi Ue per la durata dei contenziosi civili, commerciali e cause amministrative, nonché ultima per numero di contenziosi civili e commerciali pendenti. L’efficienza del sistema giudiziario è presupposto fondamentale per il buon funzionamento della comunità civile, ma è anche un fattore strettamente correlato alla performance ed efficienza dell’economia: imprese e investitori sono incentivati a partecipare attivamente al sistema economico quando possono affidarsi a una giustizia efficiente e trasparente. Nella classifica internazionale Doing Business 2020 della Banca Mondiale, l’Italia si colloca al 58esimo posto per facilità di fare business, preceduta da Kosovo, Kenya, Romania, Cipro e Marocco, ed è fortemente al di sotto della media europea. Secondo diverse stime, la perdita annua di pil legata all’inefficienza della giustizia civile in Italia potrebbe quantificarsi in circa 1 punto percentuale. Il buon funzionamento della giustizia è dunque una priorità per il rilancio del paese. E’ necessario, attraverso un maggiore utilizzo della tecnologia e il potenziamento delle strutture preposte, rendere a mio parere più rapide, efficaci e meno onerose le procedure per garantire l’effettiva applicazione dei contratti e la protezione dei diritti di proprietà, l’insolvenza e la liquidazione così da favorire la riallocazione di risorse inutilizzate in aree più produttive, la condanna e la sanzione delle attività che si collocano fuori dalla legalità alterando tra l’altro le dinamiche di concorrenza e selezione del mercato.

 

Riprogettare la sanità territoriale e la sua governance

La pandemia ha messo a nudo alcune criticità storiche del nostro sistema sanitario, che ora vanno affrontate con determinazione. In particolare, le politiche di contenimento della spesa degli ultimi anni hanno razionalizzato l’offerta di assistenza per pazienti acuti, tramite la rete degli ospedali, senza rafforzare l’offerta di servizi territoriali. La tecnologia ha costretto gli ospedali a cambiare, ma non ha offerto finora stimoli paragonabili all’assistenza territoriale. Occorre quindi creare una sanità circolare, in cui acuti e cronici possano ricevere trattamenti in strutture adeguate, ma tutti gli altri pazienti possano essere curati a casa grazie allo sviluppo di adeguate reti di supporto territoriali. A questo fine occorre anche investire su strumenti di telemedicina, utilizzando device versatili, a basso costo e notevole semplicità d’uso, che consentano la trasmissione da remoto di numerosi parametri vitali (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, concentrazione dei gas del sangue, emoglobina, Ecg). Sarà naturalmente cruciale, per giungere a questi servizi, lo sviluppo della rete 5G.

 

Sicurezza, criminalità e intelligenza artificiale

La pandemia ha richiesto il dispiegamento di tutte le risorse a disposizione della Pubblica amministrazione per la protezione sanitaria e la garanzia dell’ordine pubblico in Italia. La spesa pubblica in ordine pubblico e sicurezza nel 2019 era pari a 32,5 miliardi di euro, cioè l’1,8 per cento del pil. In questa fase di stress per il sistema, le forze dell’ordine sono coinvolte in prima persona nelle attività connesse alla salute pubblica, al contenimento del malumore diffuso causato dalle restrizioni della mobilità nonché, al contempo, al controllo dei flussi migratori e della criminalità organizzata. Per riuscire a rispondere alle crescenti esigenze di ordine pubblico, aumentando il senso di sicurezza diffuso e la fiducia sulla resilienza del sistema, anche il sistema delle forze dell’ordine deve migliorare efficienza e produttività, affidandosi a strumenti nuovi, quali l’uso dell’intelligenza artificiale, dell’apprendimento automatico e dell’Internet delle cose per contrastare e prevenire la criminalità applicando strumenti tecnologici avanzati come blockchain e analytics per raccogliere dati sensibili sui crimini e reati avvenuti in passato. Ci sono già moltissimi esempi virtuosi di questi modelli in Italia, ma è necessario rafforzare tale percorso per renderlo sistemico e strutturale. La digitalizzazione di attività sensibili, tuttavia, offre il fianco a possibili attacchi cibernetici, che rendono fondamentale investire, parallelamente all’innovazione tecnologica come sta facendo la ministra Pisano, su strumenti e competenze per la gestione della sicurezza nazionale e dei dati dei cittadini sempre più digitalizzati e pertanto sempre più esposti al rischio (come per esempio identità digitale, il fascicolo sanitario digitale, dati reddituali e dati sensibili). 

 

Trasversale a queste dieci priorità è il tema delle infrastrutture fisiche e digitali: in particolare è importante accelerare la costruzione e il completamento della rete infrastrutturale presupposta alla transizione tecnologica del paese verso la connettività di nuova generazione e la diffusione delle tecnologie digitali. 
Ringraziandola per lo spazio offertomi, mi auguro che tali riflessioni (come ho già precisato al principio), possano essere accolte come un contributo a una programmazione di largo respiro, nello spirito di unità e compattezza che ha sempre contraddistinto e continua a caratterizzare il governo, intorno all’azione del presidente Conte.

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