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Alfieri (Pd) dice perché fare affari in Egitto non è un insulto ai Regeni

Valerio Valentini

Il capogruppo in comm. Esteri: “Se si bloccasse la vendita delle fregate avremmo rafforzato la richiesta di verità e giustizia?”

Roma. A un certo punto, con logica furbizia, Alessandro Alfieri ribalta il ragionamento: “E va bene. Ipotizziamo che si bloccasse la vendita delle nostre fregate Fremm all’Egitto: avremmo davvero rafforzato la sacrosanta richiesta di verità e giustizia per Giulio Regeni e Patrick Zaki?”. Domanda retorica, s’intende: perché subito il senatore del Pd, capogruppo in commissione Esteri al Senato, prosegue: “Ovvio che no. Anzi, è proprio facendo perno sulla cooperazione col governo di al Sisi, che potremo essere più assertivi nelle nostre istanze”.

  

E va bene, senatore. Ma nei confronti dell’Egitto abbiamo il dovere di pretendere chiarezza. “E infatti spero che il presidente Conte, anche in virtù del suo rapporto diretto con al Sisi, sappia compiere quel salto di qualità nelle relazioni diplomatiche che ci permetta di essere più determinati nelle nostre richieste”. E invece a questo accordo commerciale con l’Egitto ci si è arrivati un po’ alla chetichella, si direbbe quasi col favore delle tenebre. “No, non si può accreditare, col silenzio, il sospetto infondato del baratto, dello scambio tra la vendita di navi e la verità per Regeni. E del resto essere timidi, in queste relazioni, ti rende anche debole sul fronte diplomatico. Meglio spiegare a viso aperto perché quell’accordo è importante”.

 

E facciamolo, allora. “Ci sono ragioni economiche, in primo luogo: un accordo commerciale con l’Egitto sul settore della difesa garantisce investimenti e occupazione. Ma poi, soprattutto, ci sono motivi di natura strategica: l’Egitto è un partner importante, per l’Italia, nell’opera di stabilizzazione del Mediterraneo orientale, soprattutto se guardiamo all’attivismo turco in quell’area. E ridurre tutto alla questione libica, dove al Sisi ha sostenuto Haftar, è limitante. L’Egitto è per noi fondamentale nel controllo dei flussi migratori e nel contrasto al terrorismo, lungo la faglia porosa tra Ciad e Sudan. E poi ci sono questioni di approvvigionamento energetico, e ci sono gli interessi di molte nostre importanti aziende in quell’area. Ora, i vuoti in politica estera non sono ammessi. Se noi chiudessimo i canali economici e diplomatici con il Cairo, altri paesi europei ci rimpiazzerebbero. Se vogliamo rendere il Mediterraneo un luogo sicuro e pacificato, non possiamo rintanarci nel nostro fortino”.

  

A proposito di Mediterraneo: in Libia la Turchia ha di fatto sconfitto Haftar sul piano militare, riducendo il nostro peso specifico. “L’Italia ha giocato un ruolo decisivo nel raggiungimento del cessate il fuoco dopo Berlino. Poi la situazione è peggiorata, anche perché le opzioni a nostra disposizione sono limitate. Volutamente. Il nostro governo non intende mandare i soldati in guerra a sostenere una delle due parti: noi non assoldiamo i miliziani turco siriani, né mandiamo sul terreno i mercenari della Wagner. Le nostre armi sono quelle politiche e diplomatiche: ed è per questo, peraltro, che non possiamo indebolirle. Non possiamo, cioè, far venir meno il nostro impegno sulle missioni in Libia”. Sulle quali, però, c’è grande fermento in Parlamento in vista del voto di luglio che dovrebbe rinnovarle. Anche il Pd è in parte contrario a riconfermare il sostegno alla guardia costiera locale. “Dobbiamo chiederci se vogliamo giocare un ruolo nella risoluzione della crisi libica. Dopodiché i problemi non possono essere elusi: ed è per questo che il Pd ha ribadito al ministro degli Esteri Di Maio che bisogna pretendere delle risposte celeri dai libici rispetto alla nostra richiesta di modifica del Memorandum bilaterale”. Quali correzioni chiedete? “Ci aspettiamo una modifica nel superamento dei campi, quelli dove vengono trattenuti e riportati indietro i migranti. Vanno aperti al controllo delle organizzazioni internazionali, e poi vanno allestiti corridoi umanitari straordinari per donne e bambini. Segnalo però che la nuova missione europea Irini, a guida italiana, è una conferma importante: consente l’embargo sulle armi e la lotta agli scafisti in Libia”.