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Chi vuole Minenna, chi l'Adusbef, chi porta i pm. Arriva la commissione banche

Valerio Valentini

Un po’ di giustizialismo, un po’ di complottismo, un po’ di Trani. I nomi in ballo per la commissione commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche

Roma. In fondo, che non sarebbe che potuta finire nello sbraco da inquisizione de’ noantri lo si era già capito quando Luigi Di Maio, col tono tronfio del carceriere patetico, metà colonnello Podovskij e metà sergente Garcia, sentenziò: “Li convochiamo tutti e iniziamo a farli cantare”. Era il febbraio del 2019 e l’allora vicepremier grillino sparacchiava nel mucchio, comme il faut, accusando un po’ a casaccio, senza alcuna reale cognizione di causa, vertici di Banca d’Italia e dirigenti vari di istituti di credito. Del resto la commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche stava per essere costituita, e chissà cosa sembrava. Poi, il 26 maggio scorso, è stato stilato l’elenco dei “consulenti” che i vari partiti hanno proposto per condurre le loro intrepide indagini sul malaffare finanziario: e sì, è arrivata la conferma che anche stavolta si finirà col solito rodeo. 

  

E in quella lista c’è, manco a dirlo, Marcello Minenna, nume tutelare in fatto di questioni bancarie nel pantheon del M5s, nel frattempo nominato direttore dell’Agenzia delle dogane, dov’è attualmente alle prese con una discussa riorganizzazione interna (lui la chiama “restyling”) e con truffe subite da parte di aziende fantasma dedite al traffico internazionale di mascherine. La stranezza sta semmai nel fatto che a proporre Minenna, ubiquo ai casi e trasversale agli schieramenti politici, è il leghista Massimo Bitonci: e tutti adesso sono in attesa di vedere cosa farà la grillina Carla Ruocco, che della commissione d’inchiesta è presidente e che soprattutto, tra gli esponenti del M5s, è quella che più di tutti è stata vicina a Minenna e più di tutti ha brigato, invano, per promuoverlo alla presidenza della Consob, a inizio legislatura.

 

L’altro eroe del giustizialismo bancario a cinque stelle, Elio Lannutti, della commissione è uno dei componenti. E lui, il senatore che propala bufale antisioniste sui “Savi di Sion” e che annovera Angela Merkel tra i “nipotini di Hitler”, come consulente ha proposto Fabio Pelosi, ex pm della procura di Bergamo che ha indagato per anni sul caso Ubi Banca, per poi essere trasferito a Pisa, l’anno scorso, per una decisione del Csm che Lannutti ha descritto come uno “scandalo”, con l’inevitabile corredo di interrogazioni parlamentari e tweet dalla consueta pacatezza: “Ennesima vergogna di giustizia a misura di banchieri, bancarottieri e faccendieri”. Senza contare, poi, che in quel processo Lannutti è stato parte attiva, non solo perché aveva presentato esposti alla procura di Bergamo sulla faccenda, ma anche perché è stato poi ascoltato come testimone dell’accusa, condotta appunto da Pelosi, in qualità di presidente onorario dell’Adusbef.

  

E qui si arriva all’altra stramba coincidenza. Perché tra i consulenti indicati dal M5s nella commissione d’inchiesta figura Antonio Tanza, avvocato leccese che dell’Adusbef è il presidente attuale, succeduto proprio a Lannutti, fondatore e tuttora presidente onorario dell’associazione che tutela i diritti degli utenti di servizi bancari e finanziari. Davvero non c’è alcun imbarazzo, in casa grillina, alcuna remora di fronte a un intrigo di relazioni che, se pure non lo si vuole catalogare – come pure il M5s farebbe, a part invertite – tra i casi di conflitto d’interessi, si configura quantomeno come un atto politicamente inopportuno? Tanto più che Tanza non è solo il successore di Lannutti in Adusbef, ne è anche il difensore legale. A dichiararlo è stato lo stesso senatore grillino, nel dicembre scorso, quando era ancora in lizza per diventare presidente della commissione d’inchiesta e si scoprì che suo figlio lavorava nella Popolare di Bari: “Ho affidato la tutela del mio onore ad  Antonio Di Pietro  – disse allora Lannutti, che proprio con l’Italia dei Valori era entrato per la prima volta in Parlamento – e ad Antonio Tanza”. Tutto regolare? Verrebbe da chiederlo, in particolare, a Daniele Pesco, presidente grillino della commissione Bilancio a Palazzo Madama, che ha deciso di proporre Tanza come consulente, e che del resto di Lannutti è un fervente ammiratore, al punto da arrivare ad auspicarne, nel 2015, l’elezione a capo dello stato (“Perché Elio è uno che si batte contro la mafia delle banche”).

  

Dopodiché, trattandosi di banche e di complotti annessi, non poteva mancare, nella lista dei consulenti indicati, un rappresentante della procura di Trani, quella che negli ultimi dieci anni s’è fatta onore nel mondo con indagini scalcagnate puntualmente risoltesi nel nulla, dal vagheggiato “Tranigate” del Cav. ai danni di Michele Santoro fino alla crociata contro il golpe delle agenzie di rating ai danni dell’Italia intera. Stavolta il portabandiera del tribunale pugliese, suggerito dal senatore di Forza Italia Massimo Ferro, è Antonino Di Maio, subentrato alla guida della procura di Trani a quel Carlo Maria Capristo finito agli arresti domiciliari con l’accusa di abuso d’ufficio e favoreggiamento, e a sua volta accusato - Di Maio - di abuso d’ufficio e favoreggiamento personale.

  

E poi, come ogni commissione d’inchiesta sulle banche che si rispetti, ci sono i paladini dei “risparmiatori traditi”, che camuffano più o meno bene la loro filiazione partitica sotto il manto di vecchi o nuovi mandati popolari. Provengono infatti entrambi, oltreché dalla città di Arezzo, dall’associazione “Vittime del salva-banche” Letizia Giorgianni e Alvise Aguti. La prima è stata e resta coriacea presidente del comitato, animatrice di sit-in davanti al Parlamento e petizioni d’ogni sorta e contro ogni governo; il secondo, invece, di quel comitato è stato a lungo consulente tecnico. Poi, come spesso accade, le strade si sono divise: e così la Giorganni, nel frattempo autrice del blog “La voce del patriota”, è entrata nelle grazie e nelle liste di Giorgia Meloni, candidata e non eletta alle politiche del 2018 per Fratelli d’Italia, che s’era comunque subito premurato di ricompensarla promuovendola consulente del gruppo al Senato; Aguti invece s’è istituzionalizzato attraverso il M5s, diventando consulente parlamentare del presidente della commissione Bilancio al Senato, il già citato Pesco. E insomma, entrambi si incontreranno di nuovo nel comitato di tecnici che accompagnerà il lavoro d’indagine della commissione per l’intero corso della legislatura: la Giorgianni voluta dal meloniano Tommaso Foti, Aguti dalla grillina Rossella Accoto.

  

“Li faremo cantare”, diceva insomma Luigi Di Maio, con quella sua faccia un po’ così. Ma a giudicare dalle premesse, la commissione d’inchiesta sulle Banche, che proprio in queste settimane ha iniziato le sue audizioni, pare destinata a fornire una sgangherata “prova d’orchestra”. Nel film di Fellini finiva a metà tra la tragedia e la farsa: “Tutto è perduto in stupide chiacchiere”, concludeva disperato il direttore. E sembra un presagio quanto mai azzeccato.