Foto dal profilo Instagram di Luigi Di Maio

Turisti della politica

Luciano Capone

Il Covid colpirà gravemente il turismo, ma i danni saranno ancora più gravi se l’Italia seguirà il metodo Di Maio

Roma. Ora i danni del Covid rischiano di diventare asimmetrici. In maniera quasi paradossale, a livello economico, rischiano di pagare molto di più i paesi e le aree geografiche meno colpite dall’epidemia ma che dipendono da settori caratterizzati dalla prossimità fisica e dagli spostamenti. Uno su tutti il turismo. E quindi zone come l’Italia centro-meridionale, la Grecia o il Portogallo. 

  

Quella del turismo è un’industria fondamentale per tutta l’Europa: direttamente e indirettamente contribuisce quasi al 10 per cento del pil dell’Unione europea, che come area rappresenta complessivamente la principale destinazione turistica al mondo con 563 milioni di presenze internazionali e il 30 per cento delle entrate a livello mondiale. Il danno economico sarà senza precedenti. L’Organizzazione mondiale del turismo (Unwto) ha previsto una riduzione del turismo internazionale tra il 60 e l’80 per cento rispetto allo scorso anno. L’Ocse prevede per i suoi 36 paesi membri una riduzione del turismo internazionale del 45 per cento nel 2020, un dato che può salire fino al 70 per cento se i problemi sanitari e il ritardo della ripresa dovessero protrarsi fino a settembre.

 

I danni saranno notevoli ovunque, ma non saranno uguali per tutti. Saranno più profondi in aree geografiche con una maggiore vulnerabilità al turismo, ovvero zone in cui l’intensità e la stagionalità del turismo sono più forti: regioni come l’Italia (in particolare quella centrale e meridionale), alcune aree della Spagna, il Portogallo e la Grecia. In Italia, ad esempio, il turismo dà lavoro a 3,5 milioni di occupati (il 15 per cento del totale) e vale il 13 per cento del pil (230 miliardi). Per altri paesi del Mediterraneo i dati in rapporto al pil sono addirittura superiori: in Spagna il turismo vale il 15 per cento del pil e il 15 per cento dell’occupazione; in Portogallo il contributo al pil è quasi del 20 per cento e lavora nel turismo più di un occupato su cinque (22 per cento); in Grecia, dove il turismo è la principale industria del paese e la prima voce dell’export, il dato è superiore: oltre il 20 per cento del pil e oltre un occupato su cinque impegnato nel turismo (26 per cento); per Cipro i dati sono analoghi.

 

La crisi colpirà quindi in maniera asimmetrica le regioni più dipendenti dalle attività turistiche (in particolare le isole, le zone costiere e anche molte aree rurali, si pensi a quelle dell’Italia centrale) e molte fasce di lavoratori vulnerabili: secondo i dati Eurostat gli impiegati nel turismo sono in gran parte lavoratori stagionali (23 per cento), soprattutto giovani sotto i 35 anni (37 per cento) e donne (60 per cento). “In assenza di interventi urgenti a sostegno dell’occupazione, la crisi potrebbe portare a una perdita di circa 6 milioni di posti di lavoro in Europa e avere un impatto negativo sul sostentamento di molte altre persone in diversi stati membri, spesso tra i più vulnerabili dal punto di vista economico”, ha scritto la Commissione europea in una recente comunicazione al Parlamento europeo.

 

In questo contesto, pare davvero insensata la polemica del governo italiano nei confronti di paesi come la Grecia, che hanno deciso di mantenere restrizioni nei confronti degli italiani provenienti da quattro regioni fortemente colpite dal Covid (Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna). In primo luogo perché Atene sarà duramente colpita dalla crisi; in secondo luogo perché con la restrizione nei confronti turisti, la Grecia impone (per una legittima scelta di precauzione) dei danni a se stessa; in terzo luogo perché se l’Italia impedisce ancora ai suoi cittadini di spostarsi liberamente nei propri confini, non si capisce come possa pretendere che gli stessi possano farlo all’estero; in quarto luogo perché sono per prime molte regioni italiane, come la Sardegna, a volere restrizioni e controlli simili a quelli previsti dalla Grecia nei confronti di alcune regioni italiane. Infine, ancor più paradossale, è stata la reazione del ministro degli Esteri Luigi Di Maio che ha minacciato una rappresaglia: “Siamo pronti a chiudere le frontiere a chi non ci rispetta”. Insomma, per fare un dispetto alla Grecia, il governo pensa di infliggere un ulteriore danno a imprese e lavoratori italiani impedendo l’arrivo di turisti. L’Italia chiuderebbe sì le porte in faccia agli stranieri, ma lasciandoci le dita in mezzo.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali