(foto LaPresse)

Il Pd non voleva aprire il 3 giugno e nel partito c'è chi perde fiducia in Conte

Per i dem bene la concordia nazionale, ma è sbagliato muoversi sempre con la preoccupazione di quello che pensa e dice Matteo Salvini

La scelta di aprire le regioni il 3  giugno è stata ormai presa. Ma il Pd non l’ha gradita. Venerdì scorso, visti anche i dati  negativi che  arrivavano dalla Lombardia, si era pensato di spostare tutto all’8 giugno, che tra l’altro è la data indicata dagli scienziati che  coadiuvano il governo per fare un effettivo bilancio della situazione Covid dopo la fine del lockdown. Il capo delegazione del Pd Dario Franceschini spingeva in tal senso e anche il segretario del partito Nicola Zingaretti era su questa stessa posizione. Lo stesso dicasi per il prudentissimo ministro della Salute Roberto Speranza. Poi un nuovo trend di dati positivi, ma, soprattutto, il timore delle polemiche con le regioni del nord e con la Lega, hanno spinto Giuseppe Conte a  decidere per il 3. Ma questo ha provocato non solo le preoccupazioni di alcuni presidenti delle regioni del sud: anche nel Pd si sono registrati diversi malumori. Quel che si imputa al capo del governo è l’atteggiamento nei confronti di Matteo Salvini. “Troppo timoroso”, dice un autorevole parlamentare del Partito democratico. Insomma, per il Pd va bene la concordia nazionale ed è giusto evitare le polemiche, ma è sbagliato muoversi sempre con la preoccupazione di quello che pensa e dice Matteo Salvini.

Sempre a proposito di Giuseppe Conte. La sua  popolarità, che all’epoca del lockdown sembrava  salire  sempre di  più, adesso è in netto calo. E al Pd si guarda con apprensione ai sondaggi che registrano questa  flessione. Il  timore è che sia un trend che possa continuare.  Per questa ragione nel Partito democratico  c’è chi adesso spinge per le  elezioni o, perlomeno, per un cambio della guardia. Il voto, con Matteo  Salvini  così debole, non è  più un’opzione da escludersi. Ma i due  più autorevoli  esponenti del  partito,  cioè il segretario Nicola  Zingaretti  e il capo delegazione al governo Dario Franceschini, non pensano  alle  urne. Anche loro,  però, si rendono  conto della debolezza dell’attuale governo e sono preoccupati per quello che potrà accadere il prossimo autunno, quando potrebbe dilagare il  malcontento sociale.

 

L’altro ieri dal governo nessuno ha risposto al presidente designato di Confindustria  Bonomi, che ha definito la politica “peggio del  Covid”. Unica eccezione un commento molto  stringato del  ministro dell’Economia  Roberto Gualtieri, ospite di Lucia Annunciata. L’intento era quello di  non  alimentare polemiche con Confindustria in un momento  così difficile per il paese.  Ieri  però sono partiti i  primi strali nei  confronti di Bonomi. Infatti sia a  Palazzo Chigi sia nel Pd cresce la convinzione che stabilire anche un  semplice dialogo con il presidente designato di Confindustria sia davvero complicato,  se non impossibile. 

 

Fabrizio  Salini resta o non resta? L’amministratore  delegato della Rai aveva fatto intendere di essere  pronto ad andarsene a giugno. Ma ora  le cose non  sembrano  più  andare in questo verso. O, almeno, questa  è  la convinzione del Pd, dove si ritiene che Salini  resterà in sella per un altro anno. Quindi, se fosse così, la scelta per il  nuovo ad di  viale  Mazzini sarebbe rimandata di un altro anno . E tra un anno  scadranno  anche il consiglio d’amministrazione della Rai e il presidente Foa.  A quel punto  sarà  più  semplice trovare la quadra e soddisfare tutti i desiderata dei  diversi partiti che  compongono  la maggioranza di governo. Sempre che restino questo esecutivo e questa  maggioranza.

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