Luciano Pellicani (foto LaPresse)

Il Vangelo socialista secondo Luciano Pellicani

Giuseppe Bedeschi

Non accettò mai le tesi dei liberisti puri, e difese sempre le conquiste del Welfare State, che caratterizzavano la civiltà europea. È morto a Roma all'età di 81 anni

Venerdì 10 aprile è morto a Roma Luciano Pellicani, sociologo, giornalista e docente universitario, era nato a Ruvo di Puglia (Bari) il 10 aprile del 1939.


 

Nell'agosto 1978 il segretario del Psi, Bettino Craxi, pubblicò, sul settimanale L'Espresso, un saggio intitolato Il Vangelo socialista, che suscitò una vasta eco e sollevò, a sinistra, vivacissime polemiche. Il direttore de La Repubblica, Eugenio Scalfari, scrisse che quel saggio segnava “una data storica nella vita del Psi”. E spiegò: “La posizione di Craxi politicamente significa questo: 1) l'unità della sinistra in Italia è rotta per sempre; 2) senza bisogno di congressi e di comitati centrali, con un semplice tratto di penna, il segretario del PSI ha cancellato cent'anni di storia del suo partito, ha rivoluzionato la topografia degli schieramenti politici italiani e ha di fatto fondato un grande partito liberal-socialista”.

 

La valutazione di Scalfari era acida ma corretta. Si seppe assai presto che il saggio “sacrilego” firmato da Craxi era stato scritto, in realtà, da Luciano Pellicani, un intellettuale socialista che da vario tempo aveva avviato un rapporto di collaborazione col segretario del Psi, e che si sforzava di immettere nella cultura socialista i principi ispiratori del liberalsocialismo. Infatti Pellicani aveva affermato nel suo saggio (che fu aspramente scomunicato dal segretario del Pci Enrico Berlinguer) che “da Russell a Carlo Rosselli a Cole ci perviene un unico stimolo che ci invita a non confondere il socialismo con il comunismo, la piena libertà estesa a tutti gli uomini con la cosiddetta libertà collettiva, il superamento storico del liberalismo con la sua distruzione”.

 

Il totalitarismo sovietico – diceva ancora Pellicani – non era una “deviazione” dal marxismo-leninismo, bensì la sua genuina realizzazione. Proprio per questo fra comunismo marxista-leninista e socialismo democratico c'era una “incompatibilità sostanziale”, che si esprimeva nella contrapposizione fra collettivismo e pluralismo. “Rispetto alla ortodossia comunista il socialismo è democratico, laico e pluralista. Leninismo e pluralismo sono termini antitetici; se prevale il primo, muore il secondo”. Nel Vangelo socialista Pellicani tentava anche un recupero di Proudhon, poiché questi, nella seconda parte della sua attività politico-teorica, aveva dichiarato che la proprietà privata era la condicio sine qua non per la conservazione delle libertà personali. Anche questo richiamo a Proudhon suonava, nella cultura comunista, come sacrilego, perché il pensatore socialista francese era stato aspramente criticato (e ridicolizzato) da Marx nella Miseria della filosofia.

 

A questi ideali e a questi motivi Luciano Pellicani si è sempre mantenuto fedele, sia nella direzione del mensile socialista Mondoperaio (direzione che tenne per molti anni), sia nella sua vasta produzione pubblicistica: nella quale spicca il suo libro, acuto e originale, sulla genesi del capitalismo, in cui Pellicani rifiutava sia le tesi di Marx sia quelle di Weber. Gli autori nei quali egli si riconosceva (ai quali dedicò il suo ultimo libro, I difensori della libertà, edito da Rubbettino) erano Ortega y Gasset (di cui egli curò l'edizione italiana degli scritti sociologici e politici per la UTET), Simone Weil, Raymond Aron, Norberto Bobbio, Giovanni Sartori. Di qui la sua costante polemica contro il “tradimento dei chierici” (secondo la ben nota espressione di Julien Benda), cioè di tutti quegli intellettuali che avevano ceduto ai miti totalitari. Si deve aggiungere che, all'interno del pensiero liberale, Pellicani non accettò mai le tesi dei liberisti puri, e difese sempre le conquiste del Welfare State, che caratterizzavano la civiltà europea.

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