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Perché il nuovo Pd deve ritornare con urgenza a parlare di articolo 18

Cesare Damiano

In tema di licenziamenti illegittimi c’è un vuoto normativo che va colmato. Ma come si è giunti a questo punto? Ci scrive l'ex ministro del Lavoro Cesare Damiano

Al direttore - In tema di licenziamenti illegittimi c’è un vuoto normativo che va colmato. Ma come si è giunti a questo punto? Quando si parla di licenziamenti illegittimi la mente va inevitabilmente all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. E qui si entra in un campo, per certi versi, singolare. Quella sigla contiene in sé elementi di varia natura. In primo luogo, quello squisitamente legislativo relativo alla regolazione dei licenziamenti, in particolare per quel che riguarda la tutela del lavoratore. In secondo luogo, quello politico, relativo alla sua genesi: quel vertice dello sviluppo economico e, allo stesso tempo della storia dei Governi di centrosinistra e di forza del movimento dei lavoratori in Italia, rappresentato dallo Statuto dei Lavoratori firmato, nel 1970, dal Governo Rumor e dal suo ministro del Lavoro, Giacomo Brodolini. In terzo luogo, l’errore di fondo, circolato anche negli ambienti politici del centrosinistra, che la modifica del mercato del lavoro potesse realizzarsi semplicemente attraverso una riforma del solo Diritto del lavoro. In quarto luogo, la battaglia emotiva e politica intorno all’insieme di norme note come Jobs Act in cui l’articolo 18 è stato trasformato in una sorta di bandiera da difendere a oltranza o da strappare, a seconda dei punti di vista, a prescindere dallo stato reale delle cose.

 

In realtà, prima del Jobs Act, già la riforma Fornero si era già occupata della disciplina in tema di flessibilità in uscita e tutele del lavoratore. Con gli articoli 13 e 14, modificò le norme relative ai licenziamenti individuali. In particolare proprio della fattispecie tutelata dall'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. In breve, in molte casistiche la reintegra venne sostituita con il solo indennizzo economico. La legge Fornero ha, di fatto, ridimensionato la tutela reale, svuotando in parte la norma originaria e sottraendo al giudice la discrezionalità nella valutazione della legittimità del licenziamento e sulla sanzione dell’illegittimità. Quando, con il Jobs Act, si giunse all’abolizione dell’articolo 18, questa norma – che avevo sempre difeso con convinzione – di fatto non esisteva più nella sua versione originale.

 

Ma con il Jobs Act – e con il meccanismo delle tutele crescenti – è stato compiuto un ulteriore, grave errore. Errore su cui, nell’estate del 2018 si è abbattuta la scure della Corte Costituzionale. La quale ha dichiarato illegittimo l’articolo 3 comma 1. In sintesi, è stato dichiarato incostituzionale il provvedimento che legava, per i licenziamenti illegittimi, l’entità del risarcimento all’anzianità di servizio. La Consulta ha, perciò, riconsegnato al giudice la facoltà di fissare il risarcimento nell’ambito dei parametri stabiliti dalla legge. Voglio qui ricordare che, nella XVII legislatura, con un gruppo di parlamentari del Pd, mi ero battuto per migliorare le normative sui licenziamenti illegittimi presentando una apposita proposta di legge. Inoltre, la commissione lavoro della Camera aveva esplicitamente indicato nel parere approvato la necessità di: “Assicurare la reintegrazione nel posto di lavoro nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo o giusta causa in cui sussista una evidente sproporzione tra la sanzione del licenziamento e l’addebito disciplinare contestato”. Di questo, purtroppo, non ha tenuto conto il governo Renzi. La necessità di un intervento legislativo è stata successivamente certificata dalla sentenza della Consulta.

 

In seguito, con il decreto “dignità”, il governo gialloverde è intervenuto elevando le mensilità di risarcimento per il licenziamento illegittimo da 4-24 a 6-36 mesi. Ma il fatto è che non è stato colto il punto sollevato dalla Corte Costituzionale che ha riconsegnato al giudice la facoltà di fissare il risarcimento nell’ambito dei minimi e dei massimi stabiliti dalla legge in rapporto alla gravità del comportamento dell’azienda. Insomma, la Consulta ha negato il principio che permetteva di assegnare al legislatore la facoltà di predeterminare in modo rigido la tabella degli indennizzi in base all’anzianità di servizio.

 

Dunque, il problema di oggi non è per nulla ideologico. Il problema non è tornare o no al vecchio articolo 18. Come dicevo all’inizio, in tema di licenziamenti illegittimi abbiamo di fronte un vuoto normativo cui porre rimedio. Il punto è fare una nuova legislazione coerente con la strada indicata dalla Consulta o lasciare le decisioni nelle mani dei giudici.

 

Cesare Damiano, Pd, ex ministro del Lavoro

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