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L'Europa di domani si costruisce con il proprio voto, non con le urla e gli appelli al sovranismo

Mario Savino

Un progetto comune nato con la caduta del muro di Berlino e il biennio che ne ha rovesciato il senso. Due diciottenni discutono sulla “vera” posta in gioco nelle imminenti elezioni europee

Con la caduta del muro di Berlino era nato un progetto di Europa – immaginata come uno spazio senza frontiere, aperta a est finanche all’adesione della Turchia, saldamente ancorata a valori democratici e a un livello elevato di protezione dei diritti umani – che incarnava il sogno dell’universalismo liberale e si avvicinava alla “fine della storia” di cui scriveva Francis Fukuyama nel 1992. Il biennio 2015-2016 ha, però, invertito il senso della storia continentale. Dopo anni di dura crisi economica, l’afflusso di un milione di profughi dalla Siria e gli attentati terroristici di matrice islamista susseguitisi nel cuore dell’Europa (Parigi, Bruxelles, Nizza, Berlino) hanno segnato il tramonto di quel progetto. Le frontiere aperte, la logica solidaristica e l’idea stessa di Ever Closer Union sono divenute l’emblema di una tolleranza decadente, imposta dalle élite europee a scapito dei ceti medi impoveriti e delle fasce sociali più vulnerabili. Di qui, l’ostilità verso l’Europa e un bisogno di sicurezza e protezione di cui i nazional-populismi si sono fatti prontamente interpreti.

  

Ma come faranno – si chiede Sveva, diciottenne fiorentina – Matteo Salvini, Marine Le Pen e gli altri leader sovranisti, riuniti nell’Alleanza europea dei popoli e delle nazioni, a cooperare tra loro? Come potrà la loro Europa, indebolita a vantaggio degli stati nazionali, affrontare le grandi sfide di oggi, come il cambiamento climatico, la diseguaglianza sociale, la gestione dei flussi migratori, i pericoli della tecnologia, la crisi della democrazia? Tra pochi giorni Sveva voterà per la prima volta alle elezioni europee e vuole capire: perché i sovranisti, sostenitori del ritorno al primato degli stati-nazione, invece di invocare l’uscita dall’Unione, si alleano con l’obiettivo di guidarla?

  

Il suo amico Edoardo, appassionato di politica e di storia, le risponde rovesciando il paradosso: perché i partiti di centro e di sinistra, pur professandosi “europeisti”, non hanno investito quanto i loro avversari nella costruzione di alleanze europee? Perché proprio loro sembrano essere rimasti prigionieri dei recinti nazionali? Hanno forse paura delle reciproche debolezze politiche e vulnerabilità mediatiche?

  

Mentre rimuginano su queste domande, ricevono via Facebook l’invito a partecipare a un incontro organizzato da coetanei che si professano “apartitici” ma interessati a costruire il loro futuro. L’incontro parte da questa domanda: qual è la “vera” posta in gioco nelle imminenti elezioni europee?

 

Alcuni sembrano avere idee chiare. L’obiettivo è dare una spallata all’Europa elitaria e antidemocratica che ci governa. L’Europa dei burocrati di Bruxelles, che prendono decisioni importanti per la vita quotidiana dei cittadini europei senza essere stati eletti. L’Europa dei giudici di Lussemburgo, che impongono la loro visione del mondo, individualista e cosmopolita, costringendo i legislatori nazionali a scelte discutibili e impopolari. L’Europa dei poteri forti, che plasmano le norme Ue sulla libera circolazione di merci, lavoratori, servizi e capitali per favorire la globalizzazione, senza preoccuparsi di chi rimane indietro, delle persone meno istruite, delle periferie. Si pensi all’euro, creato dalla Germania per favorire i suoi interessi commerciali ed esportare i suoi prodotti in altri paesi europei, dove, non a caso, la disoccupazione aumenta e i salari ristagnano. Si pensi ai richiedenti asilo in arrivo dall’Africa e dal Medio oriente, pronti ad approfittare del nostro sistema di accoglienza per poi lavorare in nero, a basso costo, o minacciare la nostra sicurezza. E così, mentre le possibilità di condurre una vita dignitosa per molti italiani si riducono, lo stato, prigioniero dei vincoli europei sul debito pubblico, non può spendere per proteggerli e sostenerli.

  

Sveva sembra convinta. Questo punto di vista è comprensibile, lineare: la aiuta a dare una spiegazione alle tante ingiustizie che vede attorno a sé e a chiarire il senso di questo suo primo impegno da cittadina… europea! Ecco, questo aggettivo fa riaffiorare i suoi dubbi. Per una diciottenne che si sente italiana ma anche europea, che vuole laurearsi in Relazioni internazionali, fare l’Erasmus in Francia e immaginare il suo futuro con il ragazzo svedese con il quale flirta da mesi su internet, avrebbe senso votare per una coalizione di partiti che vogliono ripristinare il primato degli egoismi nazionali sulle ragioni dello stare insieme, uniti nella diversità?

 

Mentre questo nuovo paradosso la affligge, Edoardo si alza e prende la parola. La nostra generazione – dice – ha una naturale apertura agli altri. Siamo cresciuti in una società multiculturale, con amici che hanno colori, lingua e tradizioni diversi. Sappiamo che questa diversità ci arricchisce. Ma non sappiamo, perché non abbiamo vissuto il tormento della guerra, ciò di cui siamo più debitori all’Europa: una pace duratura in un continente che settanta anni fa usciva da due guerre mondiali. E’ stata l’Europa di cui oggi siamo cittadini a unire vincitori e vinti in un patto di reciproca convenienza, disinnescando la spirale dei nazionalismi.

 

Oggi però – continua Edoardo – quei nazionalismi sembrano pronti a prendersi una pericolosa rivincita, mettendo in discussione non questa Europa, certamente perfettibile, ma l’idea stessa di Europa come casa comune. Non è forse questa la vera posta in gioco? L’alternativa, cioè, tra un’Europa dei nazionalismi, storicamente foriera di sanguinosi conflitti, e un’Europa pacifica e democratica, in grado di rilanciare il binomio libertà-uguaglianza? E’ vero, l’Unione europea ha molti limiti, alcuni imputabili agli stessi stati membri, che ne frenano l’azione e non le danno i poteri necessari. Eppure ciò che serve alla nostra generazione è un’Unione più forte. Si può stare in Europa, come vorrebbero i sovranisti, solo per rivendicare il primato degli interessi nazionali? Può l’Italia, che a ogni sbarco chiede all’Unione di condividere l’onere dell’accoglienza dei migranti, pensare di risolvere il problema alleandosi con paesi come l’Ungheria, che non accettano nessuna forma di solidarietà nella distribuzione dei richiedenti asilo? Come potrebbe l’Europa debole dei sovranisti risolvere questo e gli altri problemi che ormai sfuggono alla capacità di governo dei singoli stati?

  

Sveva è stanca ma appagata. Domani leggerà la serie “Europa conviene” del Foglio, che Edoardo le ha consigliato, per capire come l’Unione europea si prenda cura di aspetti essenziali della nostra vita, dall’ambiente all’alimentazione, dai trasporti alla sicurezza stradale, dalla libera circolazione alla tutela dei lavoratori, dall’accesso a internet alla protezione dei dati personali, dalla sanità all’istruzione, dalla protezione civile alla valorizzazione dello spazio urbano, dalla tassazione alla tutela dei nostri risparmi. Intanto, però, una cosa l’ha capita: domenica andrà a votare. E voterà per costruire l’Unione europea di domani.

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