Idee per il contributo dei cattolici alla politica dopo l'appello del cardinale Bassetti

Maurizio Lupi

“Dobbiamo creare spazi di libertà perché la creatività di chi ha a cuore il bene comune possa esprimersi. Ma no a un nuovo partito”

Al direttore - Il reiterato appello del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente dei vescovi italiani, ai cattolici perché “non abbiamo paura della responsabilità politica” si fa via via più insistente. Il crescendo dei toni, allarmati e sin drammatici, mi fa dire che non si tratta “soltanto di un’esortazione” come ha detto sulle vostre pagine il professor Belardinelli, le cui analisi peraltro condivido. Bassetti non gira attorno al problema quando dice: “Abbiamo rischiato di farci contagiare dal clima di paura e ci siamo chiusi nei nostri ambienti. Abbiamo avuto paura anche della politica, come qualcosa che ci sporcava”.

 

Metto in ordine: l’invito a “scendere dal balcone” che Papa Francesco rivolse ai giovani nel discorso di Cesena dell’ottobre scorso, le parole messe nero su bianco dai vescovi italiani alla fine della loro assemblea di maggio, la prima dopo le elezioni politiche (“La debolezza della partecipazione politica dei cattolici è espressione anche di una comunità cristiana poco consapevole della ricchezza della dottrina sociale e, quindi, poco attiva nell’impegno prepolitico. Di qui la volontà di una conversione culturale che sappia dare continuità alla storia del cattolicesimo politico italiano, testimoniata da figure alte per intelligenza e dedizione”), i reiterati appelli del cardinale Bassetti e infine le parole del neo cardinale Giovanni Angelo Becciu, attuale sostituto alla Segreteria di stato vaticana (“Non do giudizi sulla situazione politica. Non mi spetta, ma da cristiano devo riconoscere che i cattolici in politica sono un po’ scomparsi. Ci sono cattolici che a titolo personale portano avanti il messaggio cristiano e lo fanno con impegno. Ma resta una posizione individuale, manca un contributo organico dei cattolici alla politica”).

 

Non chiedo ai vescovi di dettarmi la linea, accolgo la loro preoccupazione. Ho chiaro che non è più il tempo del partito cattolico né del partito dei cattolici, che la difesa e la promozione dei cosiddetti valori non negoziabili ha come primo campo di gioco la testimonianza nella vita sociale più che l’elaborazione di leggi per le quali non c’è maggioranza. Ritengo che l’organicità senza la quale ogni presenza è inefficace debba coagularsi intorno a un principio di cui i cattolici impegnati in politica si facciano promotori cercando su questo l’incontro, l’intesa e le convergenze più ampie possibili. E il principio è questo: noi dobbiamo creare spazi di libertà perché la creatività di chi ha a cuore il bene comune possa esprimersi e possa costruire.

 

La libertà come possibilità concreta di intrapresa (in tutti i campi: welfare, salute, educazione, impresa, lavoro) mi sembra centrale. Io non ho ancora chiaro lo strumento politico di questa iniziativa. So che non si possono affrontare sfide nuove con strumenti vecchi. So anche che prima o poi si dovrà arrivare sino a questa scelta e, ovviamente, sarà un’offerta non vincolante. Ma credo di poter individuare sin da ora sia la ragione storica e attuale di questo impegno, sia i punti sui quali dovrà agire e coagulare consenso in nome dei princìpi di responsabilità, di costruzione, e di realismo.

 

La ragione storica la traggo da un giudizio molto serio e anche severo del cardinale Bassetti: “C’è un tessuto umano da ritessere. […] Dobbiamo essere capaci di unire l’Italia e non certo di dividerla. […] C’è una umanità italiana che non dobbiamo perdere o lasciar stravolgere da odi o razzismi, ma incrementare e trasmettere ai nostri figli”.

 

La chiesa, risottolineando con queste parole il suo ruolo di fattore di coesione sociale, indica un’urgenza e una concreta attuazione storica per la politica: ricostruire un tessuto umano e comunitario.

Questo, secondo me, è il primo compito, e per assolverlo occorre da una parte per chi ha responsabilità pubbliche tornare a testimoniare la politica come strumento indispensabile per la costruzione del bene comune lavorando concretamente, per esempio, perché il Parlamento torni a essere luogo del dialogo e del confronto; dall’altra bisogna investire nella formazione, educazione e valorizzazione dei giovani, soprattutto dei giovani amministratori locali. Non sto proponendo l’ennesima scuola di politica che introduca all’impegno e faccia da serbatoio per i vari partiti, sto proponendo l’accompagnamento di chi già si impegna, un patto generazionale per sviluppare quella “coerenza d’impegno, preparazione, rettitudine morale, capacità d’iniziativa, longanimità, pazienza e forza d’animo nell’affrontare le sfide di oggi” di cui ha parlato Papa Francesco a Cesena.

 

E a proposito delle sfide di oggi: lavoro invece che assistenza (che vuol dire formazione, imprese, sviluppo), emergenza educativa (che non vuol dire solo scuola e università, ma coinvolge tutto il complesso mondo della famiglia, dei rapporti tra generazioni, della riconoscenza dell’altro), welfare (e quindi integrazione e inclusione, nuove povertà), istituzioni (non solo la riforma mancata, ma il discorso delle autonomie e del federalismo anche fiscale da riprendere in mano).

 

Penso che un “contributo organico” dei cattolici alla politica debba avere questi focus. Sto scrivendo il programma di un nuovo partito dei cattolici? No, sto indicando i temi sui quali incontrarsi, in una formazione politica o in un’alleanza politica che facesse di questi punti il cuore della sua proposta un cattolico come me si troverebbe a suo agio, ma credo che si troverebbero a casa loro anche tanti liberali, tanti riformisti, tanti laici. Ci sono muri da abbattere e ponti da costruire non solo con chi arriva da altri paesi, ma innanzitutto, come ci ricorda ancora il cardinale Bassetti, tra chi ha avuto in dono una certa patria, con la sua storia, e la sua ricchezza ancora presente. E’ un modo diverso di dire: prima gli italiani.

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