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Arginare gli impresentabili populisti

Salvatore Merlo

Senza Di Maio? Un pomeriggio a spasso con Fico per capire la strada che può avvicinare Pd e 5 stelle

Roma. L’urlo dell’ometto affacciato sulla balaustra di Piazza del Quirinale lo coglie alle spalle, come una sassata: “Robbé”, gli urla Nando, tassista romano in pensione, elettore dei Cinque stelle dal 2008. “Ricòrdate di Di Maio”, gli grida, fendendo con la voce il lungo codazzo del presidente della Camera, che alla sobrietà di un’auto blu con i vetri oscurati preferisce una lunga camminata da marchese del Grillo, circondato da telecamere, giornalisti, curiosi, cinque poliziotti in borghese e sette carabinieri del reparto celere. “Ricòrdate”, gli urla Nando, “o Di Maio presidente, oppure gnente. Meglio le elezioni!”. Al che Roberto Fico sorride, sempre con lo stesso sorriso a filo d’erba che in questi giorni d’ebbrezza gli è come rimasto impigliato sulle labbra, un sorriso di meraviglia, di stupore, di soddisfazione trattenuta. E questo malgrado, nel Movimento, la sola idea che il suo incarico esplorativo sia una cosa seria, la sola ipotesi che l’operazione di Fico con il Pd possa funzionare, che insomma porti alla sostituzione di Luigi Di Maio a Palazzo Chigi con qualcun altro, si tinge dei sinistri e diabolici colori del sacrilegio. “Robbé”, gli urla il tassista: “Ricòrdate…”. Che all’incirca, in quanto ad ammonimento, è anche quello che ieri mattina deve avergli detto a telefono Di Maio, lui che in privato parla di Fico, il suo alter ego, quello che alla festa di Rimini l’anno scorso ne contestò la designazione dall’alto, masticandone e quasi mordendone il nome.

  

Meglio evitarli, allora, gli imprevisti. Persino il capo dei capi, Davide Casaleggio, che i pomeriggi ormai li passa al cellulare con il plenipotenziario della Lega Giancarlo Giorgetti, gliel’ha fatto capire bene, al povero Fico, “il candidato premier è Luigi”. Anche se, come ammette con i suoi colleghi deputati il renziano David Ermini, “qualsiasi cosa accada è irrealistico che il Pd accetti Di Maio a capo del governo”. Sono ipotesi su cui Matteo Renzi getta uno sguardo bieco e sospiroso. E infatti le strade dell’imprevedibile portano lontano. Forse troppo. Dunque Fico avvisato, mezzo salvato. “Se prendo l’incarico e faccio il governo con la sinistra i miei mi massacrano”, confessava lui la settimana scorsa, dando così corpo al museo d’ombre che si porta dentro.

  

Il Movimento Cinque stelle se ne sta imbustato nella rigidità di una tesi aprioristica, a cominciare dal dogma dell’intangibilità di Luigi Di Maio, che complica ogni passo e che pesa su Roberto Fico quasi come il sospetto di un tradimento. “I miei mi massacrerebbero”, ha detto qualche giorno fa in preda a uno stordimento che somiglia al torpore febbricitante in cui Don Chisciotte vede dissolversi le illusioni. Anche se Francesco Boccia, del Pd, uno che con i grillini ci parla e all’alleanza con i cinque stelle ci crede quanto il suo alleato politico Michele Emiliano, il presidente della Puglia, scuote la testa. “Beppe Grillo non la pensa così”, dice Boccia. E insomma da una parte c’è Casaleggio e dall’altra Grillo. Per uno c’è solo Di Maio, per l’altro invece Di Maio non è intoccabile e Salvini non è l’unica strada che i cinque stelle sono autorizzati a percorrere. Sarà anche vero. Ma ricostruire la verità da briciole di frasi, di sospiri, di sguardi, è molto complicato, anche per Fico, al quale le uniche indicazioni chiare sono arrivate da Casaleggio. “Ma lui è autorizzato a parlare sul serio con il Pd, da Casaleggio?”, diceva il renziano Andrea Romano, ridendo, l’altra sera, durante una cena tra deputati. Che si fa, ci si va a parlare con Fico, si risponde alla chiamata? “Da bravi cristiani siamo sempre in attesa di una chiamata”, diceva, sornione, Lorenzo Guerini.

   

E nel Pd, che intanto per adesso respinge l’ipotetica alleanza con il M5s, in realtà si divertono soltanto all’idea, soltanto accarezzando l’ipotesi vaga, anzi vaghissima, che Fico riesca, che cioè scarti via Di Maio. “Perché certo il candidato non potrebbe essere lui”, ripete anche Matteo Orfini. E questo devono averlo capito tutti. Non solo alla Casaleggio Associati. Nel Movimento cinque stelle non sono mai esistiti, ancora, né le correnti né i tradimenti. E le ambizioni di ciascuno sono state sempre gonfiate, autorizzate, o smorzate, dai padroni, da Grillo e da Casaleggio. Finora. Ma che succede se i dioscuri hanno punti di vista divergenti? Nessuno lo sa. “Robbé, ricòrdate: o Di Maio presidente, oppure gnente. Meglio le elezioni!”, è l’urlo che ha accompagnato, come il tuono al di là dell’orizzonte, il presidente della Camera verso il suo incarico esplorativo nel decoro liso e ottocentesco degli arazzi e dei velluti rossi del Quirinale. Le consultazioni cominciano oggi.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.