Piero Grasso domenica 3 dicembre all'assemblea nazionale promossa da Mdp-Possibiòle-Sinistra Italiana che ha lanciato il progetto di Liberi e uguali (foto LaPresse)

Perché, abbracciando D'Alema, Grasso rischia di fare la fine di Di Pietro

Emanuele Macaluso

A 73 anni, con quel passato, non si diventa capo effettivo di un partito politico, si presta solo un nome. Non è la prima volta che l'ex premier si copre con una toga. Lo fece con Tonino, e l’esito è stato quel che sappiamo

[Pubblichiamo il post scritto da Emanuele Macaluso sulla sua pagina Facebook domenica 4 dicembre. Macaluso è stato dirigente della Cgil, direttore dell'Unità dal 1982 al 1986 ed esponente di spicco del Pci (parlamentare per sette legislature dal 1963 al 1992), partito in cui ha iniziato la sua carriera politica come segretario regionale in Sicilia]

 


  

Oggi (4 dicembre ndr) i giornali dedicano titoli e commenti in prima pagina a Piero Grasso, indicato come leader del partito di D’Alema e Bersani, di Vendola e Fratoianni, di Pippo Civati e altri residuati di guerre perdute. Sono amico di Piero Grasso, il quale è stato un bravo magistrato, ha retto egregiamente la procura di Palermo. Fu criticato aspramente dalla cordata di magistrati e addetti all’antimafia delle chiacchiere e dei proclami demagogici e velleitari, una cordata che è stata ed è la negazione dell’agire di altri magistrati come Gaetano Costa, Cesare Terranova, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Grasso subì polemiche e attacchi anche quando fu nominato Procuratore nazionale antimafia, basta rileggere il Fatto quotidiano che ora applaude Grasso.

   

Ho fatto questa premessa perché considero un errore la scelta fatta dall’ex magistrato, oggi Presidente del Senato. A 73 anni, con quel passato, non si diventa capo effettivo di un partito politico, si presta solo un nome. Un nome speso bene come magistrato, non certo nell’agone politico. Non è la prima volta che Massimo D’Alema si copre con una toga. Lo fece con Di Pietro, e l’esito è stato quel che sappiamo. Considero la scelta di Grasso sbagliata, anche perché considero sbagliata la scissione prima e la divisione ora. Non perché il Pd guidato da Renzi vada bene, soprattutto quando dovrebbe interpretare la storia e la politica del centrosinistra. Tutt’altro. La scissione è stata un errore per più motivi. Si è consumata quando Renzi aveva subito sconfitte e aveva una contestazione aperta nel suo partito, come quella di Orlando e altri. E la divisione è un errore ora, quando sono ormai in campo possibili candidature alla guida di un governo di centrosinistra, come Gentiloni. C’è anche un fatto di questi giorni che conferma quel che dico. Se ho capito bene, ci sarà una coalizione di centrosinistra, con una lista di Bonino e altri, e una di Pisapia e altri. E se il Pd da solo alle elezioni non era competitivo, la coalizione potrebbe diventarlo. Tanti elettori che giustamente temevano un successo della destra di Berlusconi e Salvini o dei grillini, ma erano riluttanti a votare il Pd di Renzi, potranno ora sostenere le altre liste di centrosinistra. Leggo che D’Alema ha detto che forse con Grasso leader possono arrivare al dieci per cento. Non so se sarà così. Una cosa è certa. Il partito del leader Grasso non compete per il governo, e data la sua eterogeneità (tra sinistra riformista e sinistra estrema) non sarà nemmeno in grado di svolgere il suo ruolo di opposizione fondato su un progetto politico condiviso e condivisibile.

  

Infine, so bene, e l’ho scritto più volte, che nella scissione e anche nella scelta di Grasso si legge pure una responsabilità di Renzi e del suo entourage. Ma la reazione è sbagliata anche per questo. Non era difficile capire che la rottura non dispiaceva proprio a Renzi.