Gustavo Zagrebelsky. Foto LaPresse/Marco Alpozzi

Libertà e Giustizia va all'attacco di Scalfari (ma Zagrebelsky non ci sta)

David Allegranti

Il plotone (d'esecuzione) del forcaiolismo chic si ribella al padre spirituale: preferiscono Luigi Di Maio

Roma. Silvio Berlusconi è riuscito a mandare in crisi una macchina da guerra perfetta: quella degli appelli di Libertà e Giustizia, sempre pronta quando c’è da denunciare svolte autoritarie o da difendere la Costituzione. Il metodo è preciso: si fa girare un appello via mail e si aspettano – per un giorno – le risposte. Di solito c’è compattezza, ma stavolta no. La lettera scritta a Eugenio Scalfari, colpevole di aver preferito Berlusconi a Luigi Di Maio, recava inizialmente la firma di Gustavo Zagrebelsky, presidente onorario di LeG. Adesso però il suo nome è stato cancellato. Mistero? “L’appello è stato fatto girare mentre eravamo tutti fuori. Io a Roma, Zagrebelsky alla consegna del premio Sila. Se ha tolto il nome l’ha fatto per non dare un dispiacere a Scalfari, di cui è amico”, dice al Foglio Sandra Bonsanti, già presidente di LeG, oggi nel consiglio di presidenza. Chissà se Zagrebelsky condivide però il contenuto. Bonsanti dice di sì e spiega che la lettera serviva soprattutto per ricordare il lavoro di Giuseppe D’Avanzo. “Caro Eugenio”, laddove Eugenio è appunto Scalfari, carattere – in senso tipografico e psicologico – e nome ingombrante, ma come ti è saltato in mente di dichiarare che preferiresti Berlusconi, il puzzone!, a Di Maio, la brillante promessa! “Non riusciamo a comprendere – e tantomeno ad accettare – come una figura con la tua storia di giornalista e di intellettuale possa dimenticare cosa ha rappresentato Berlusconi per il nostro paese. Ci scuserai se vogliamo ricordarlo, anzitutto a noi stessi”, scrivono sbalorditi i membri del consiglio di presidenza di Libertà e Giustizia: Sandra Bonsanti, Tomaso Montanari, Nadia Urbinati, Lorenza Carlassare, Roberta De Monticelli, Paul Ginsborg, Elisabetta Rubini, Valentina Pazé e Salvatore Settis, praticamente mezzo plotone intellettuale del gruppo L’Espresso (e con Zagrebelsky il plotone sarebbe arrivato all’esecuzione).

 


 

 La prima versione della lettera con la firma di Gustavo Zagrebelsky

   

La versione finale della lettera senza la firma di Gustavo Zagrebelsky 

   


 

Segue elenco della spesa, per ricordare a Scalfari da che parte stanno i giusti di questa Terra: il conflitto di interessi, i processi, la decadenza fisica e morale. Insomma, mentre Berlusconi lo conosciamo bene, Di Maio è “un’incognita”, e “non più di Renzi agli esordi”. E’ un fatto ormai palmare: una parte dell’establishment politico-culturale de sinistra spera in Di Maio. “La dichiarazione a favore di Berlusconi ha il sapore dell’arrocco di quelli che sono ‘dentro’ al sistema, a prescindere dalle posizioni e convinzioni politiche, rispetto a quelli che sono rimasti ‘fuori’ e che devono continuare a rimanerci. Quelli che votano Cinque stelle o che non votano proprio, quelli – tra cui gran parte dei giovani – che hanno perso ogni fiducia nella politica, proprio perché dominata da ‘cricche’ indifferenti ai valori. Noi di Libertà e Giustizia, che per tanti anni abbiamo condiviso con il Gruppo Espresso-Repubblica battaglie e convinzioni, in quella tua dichiarazione non ci riconosciamo proprio, né ci riesce di ridimensionare la nostra delusione”. La delusione insomma brucia, ma Giampaolo Pansa, una vita al gruppo L’Espresso fino all’addio nel 2008, uno che Scalfari lo conosce bene, consiglia loro di darsi una calmata. Li sfotte, loro che vogliono dare lezioni di politica e di morale e pure di vita all’Eugenio. “Ma cosa vogliono fare – dice Pansa al Foglio – domare Scalfari? E’ un signore del ’24, è un tipo bizzarro, è sempre stato così. Teorizzava il giornale libertino; il giornale che dice una cosa e si può smentire il giorno dopo. I giornali non sono la Bibbia, aggiungo, e contraddirsi sta nella natura umana. Ma a quale epoca sono rimasti? Scrivi questo: Barbapapà è sempre stato bizzarro, mi diceva che i giornali devono essere libertini (e libertino lo è lui per primo). Eugenio, che cosa intendi?, gli chiedevo io. E lui mi rispondeva: devono essere capaci di dire A e smentirsi il giorno dopo”. Per quelli di LeG, la smentita del giorno dopo è arrivata da uno scalfariano di ferro: Gustavo Zagrebelsky. 

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.