Laura Boldrini e Pietro Grasso (foto LaPresse)

Boldrini&Grasso, i gemelli diversi della non leadership a sinistra

Marianna Rizzini

I presidenti di Camera e Senato si sono lanciati nell'agone. Entrambi di sinistra, entrambi simbolo di correttezza politica con tratti di puro buonismo socio-economico-morale. Diversissimi per temperamento, stile e scelte

Roma. La descrizione di un attimo, come dice la canzone dei Tiromancino, s’è fatta difficile nel caso di Laura Boldrini e Piero Grasso, rispettivamente presidente della Camera vista come possibile leader del Campo Progressista di Pisapia (al netto di Pisapia), e presidente del Senato visto come possibile leader del rassemblement Mdp-Articolo1-Sinistra Italiana-Possibile. Descrivere l’attimo, infatti, significa sì sbattere contro una certezza: Grasso e Boldrini si sono infine lanciati nell’agone, cosa che fa sobbalzare i puristi della “terzietà” delle massime cariche parlamentari, anche se non il senatore di Mdp Miguel Gotor, che ieri ricordava “agli smemorati o, più semplicemente agli ipocriti oppure agli strabici che sono stati segretari dei loro partiti e presidenti della Camera o del Senato uomini come Giovanni Spadolini, Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini e Fausto Bertinotti senza che nessuno abbia mai avuto nulla da ridire…”. Ma descrivere l’attimo significa anche trovarsi di fronte a un doppio caso di costruzione-leadership che presenta più differenze che somiglianze, nonostante i due protagonisti siano entrambi, all’origine, esponenti di società civile non invisi all’Anticasta, entrambi di sinistra, entrambi simbolo di correttezza politica con tratti di puro buonismo socio-economico-morale. E però, per temperamento, stile e scelte, non potrebbero essere più diversi, e non tanto perché Boldrini si trova dal lato Pisapia e Grasso, dopo la recente uscita dal Pd, dal lato bersanian-dalemiano della Cosa Rossa 2.0 che forse mai diventerà unitaria.

 

Se Boldrini, infatti, dopo l’insediamento, partiva subito per l’avventura di icona benecomunista e terzomondista con anni di esperienza all’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati ed estrema sensibilità per i temi “corpo delle donne”, “parità di genere”, “molestie via web” (oggi integrate dalla lotta alle fake news), l’ex magistrato Piero Grasso, dopo l’insediamento, s’inabissava nel ruolo di seconda carica dello Stato non senza fare capolino a intermittenza per dire cose non proprio neutre – un dubbio sull’Italicum qui, un altro dubbio sulla “rappresentazione del referendum del 4 dicembre come giudizio universale” lì. Non era certo il Grasso di questi tempi, l’uomo che ricorda di essere sempre stato un “ragazzo di sinistra” e che, per l’uscita dal Pd, ha scelto la frase teatrale “la misura è colma”. Anzi. Era il Grasso del “massimo movimento col minimo spostamento”, per dirla con Pietrangelo Buttafuoco: l’importante è essere percepiti come immobili pur non essendolo, specie se paragonati al cosiddetto “gemello diverso” Antonio Ingroia, che tanto ha fatto e tanto ha detto da non essere riuscito neanche a qualificarsi (in Parlamento) con la sua Rivoluzione Civile. Tuttavia Boldrini, nel suo essere Boldrini, non è rimasta uguale a se stessa. Dopo i primi due anni di attivismo verbale nel campo anche detto “sfida del cambiamento”, con excursus costanti nel vasto campo delle cose buone e giuste che non possono non essere dette a sinistra del Pd (tipo: no alla deriva liberista, no all’emarginazione del diverso, sì all’unità della gauche, sì al Mediterraneo che non smette di essere ponte), si è messa a lavorare all’operazione “ritagliarsi uno spazio pubblico” con incrollabile costanza: ecco l’intensificazione del “no” alla precarietà (tema lavoro, ma in chiave “anti-Pd”), ecco il libro rievocativo delle esperienze nel Sud del mondo (“Lo sguardo lontano”, ed. Einaudi) ed ecco il saggio sull’Europa, già dal titolo vagamente programmatico (“La comunità possibile”, ed. Marsilio). Anche l’immagine da pasionaria dolente è stata leggermente corretta (grazie ai consigli di Gad Lerner e al potenziamento dello staff Comunicazione). Grasso invece si consegnava a un felpato attendismo. Aveva detto, nel 2013, il giorno in cui era diventato presidente del Senato: “…dopo essermi dimesso dalla magistratura, pensavo di poter essere utile al Paese in forza della mia esperienza professionale nel mondo della giustizia. Ma la vita riserva sempre delle sorprese. Oggi interpreto questo mio nuovo e imprevisto impegno con spirito di servizio…”. E però poi l’interpretazione dev’essere un po’ cambiata.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.