Matteo Salvini (foto LaPresse)

Non solo Salvini, così le inchieste giudiziarie condizionano la politica

Redazione

L'azione del sistema mediatico-giudiziario ha impedito il consolidamento di equilibri politici e ha diffuso una diffidenza profonda nei confronti della democrazia rappresentativa

Alla Lega vengono sequestrati i fondi alla vigilia di una campagna elettorale. Intanto si viene a sapere che sono state taroccate in modo sistematico le intercettazioni allo scopo di “far fuori” Matteo Renzi. Silvio Berlusconi non può candidarsi perché una legge è stata applicata contro di lui, e solo contro di lui, in modo retroattivo. Persino il candidato a 5 stelle per la regione Sicilia viene depennato per una discutibile decisione della magistratura. Ormai da decenni la sorte delle vicende politiche è pesantemente condizionata dalle inchieste giudiziarie, magari poi finite in nulla come quelle contro Clemente Mastella che contribuirono a far saltare i fragili equilibri su cui si reggeva il governo di Romano Prodi, per non parlare delle accuse di Antonio Di Pietro, anch’esse finite con un’assoluzione, che causarono la caduta del primo governo di centrodestra.

 

La politica italiana è in ostaggio del giustizialismo da un quarto di secolo, un periodo più lungo di quello della dittatura fascista. La pervicace azione del sistema mediatico-giudiziario ha impedito il consolidamento di equilibri politici e ha diffuso una diffidenza profonda nei confronti della democrazia rappresentativa, cioè dell’unica forma di democrazia possibile in un paese moderno. I responsabili politici non hanno saputo reagire, anzi hanno ceduto terreno, prima abolendo le garanzie dell’immunità parlamentare, poi consentendo un uso e una diffusione (ora si vede anche una manipolazione preventiva) delle intercettazioni. Ognuno ha preferito usare lo scandalo che colpiva l’avversario o il concorrente, invece che riflettere sugli effetti complessivi di un sistema politico che si indebolisce giorno per giorno sotto l’offensiva giustizialista.

 

E’ quello che accade anche ora e non c’è speranza che le cose migliorino. In questo modo i poteri democratici si erodono, perdono autorevolezza ed efficacia, compresi quelli di chi agita confusamente ipotesi di alternative demagogiche e populiste. In realtà a beneficiare della debolezza della politica sono i poteri non elettivi, le burocrazie e le tecnocrazie.

 

E’ proprio questa convergenza, almeno oggettiva, tra pressioni demagogiche e arroganza tecnocratica il nodo che non si riesce ad affrontare, perché non può essere sciolto senza una comprensione comune dei pericoli imminenti e del deperimento presente della democrazia politica. Le soluzioni extrapolitiche di emergenza, dal governo di Carlo Azeglio Ciampi a quello di Mario Monti, avevano motivazioni specifiche comprensibili e persino accettabili. Ma la ragione per cui si è ricorsi a soluzioni extrapolitiche è sempre la stessa, e se non si estirpa quella radice non si blocca questo processo degenerativo.

 

C’è ancora lo spazio politico e il tempo utile per avviare un’opera di risanamento e di restaurazione, si proprio restaurazione, democratica?

 

E’ più che lecito dubitarne, proprio perché ogni pur timido segnale di reciproca comprensione tra formazioni appartenenti a campi diversi viene immediatamente sottoposta a una gragnuola di attacchi. Non si capisce se si tratti di irresponsabilità delle classi dirigenti, che non si preoccupano affatto del deterioramento della civiltà politica e quindi delle capacità decisionali, oppure se esse siano in realtà conniventi, partecipi più o meno consapevolmente a una operazione che utilizza le forze distruttive della demagogia giustizialista per favorire un approdo tecnocratico che non infastidisca i manovratori. Naturalmente i partiti non sono esenti da responsabilità, ma se si continua a ridurre il loro spazio di iniziativa, di competizione e di convergenza sulle questioni nodali, si lavora per un futuro avventuroso. Può darsi che questa impressione sia troppo pessimistica, che alla fine la vitalità della democrazia trovi le forme per riconquistare il primato che le spetta, quello che la Costituzione chiama sovranità popolare. C’è da sperarlo, perché la sovranità giustizialista e tecnocratica appoggiata da agitazioni demagogiche ha immense capacità distruttive, che tutti possono vedere, ma non è in grado di offrire soluzioni positive a nessuno dei problemi nazionali, compreso quello della tutela dello stato di diritto.

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