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La legge sulla tortura, una scelta civile

Redazione

Uno stato è forte se si fa rispettare ma senza mai travalicare i limiti del rispetto per la persona umana. La norma è perfettibile, ma democratica. E se scontenta gli estremi opposti è un buon segno

La legge che introduce il reato di tortura è stata approvata definitivamente, seppure con una maggioranza striminzita e un coro stereofonico di critiche da destra e da sinistra. Eppure, con tutti i suoi limiti, è una buona legge.

 

La tortura è inammissibile sempre, lo possiamo dire avendo criticato con decisione da queste colonne i maltrattamenti e le violenze della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto, nonostante allora fossimo schierati a sostegno del governo di Silvio Berlusconi. Uno stato è forte se si fa rispettare, se agisce anche con forza quando è necessario, ma senza mai travalicare i limiti del rispetto per la persona umana. Questo vincolo non riguarda solo lo Stato: anche cittadini o organizzazioni private che usino la tortura per ottenere informazioni o per altri scopi debbono essere perseguiti, non solo per la violenza privata, ma per il reato specifico di tortura. Per questo le obiezioni sollevate da chi avrebbe preferito delimitare il reato solo alla azione violenta e indebita degli addetti alla pubblica sicurezza è scarsamente convincente. Ci sono, per esempio, corpi di vigilanza privata o settori della criminalità organizzata (che sono cose assolutamente diverse ovviamente) che possono avere interesse a procurarsi con ogni mezzo informazioni o a intimidire persone di cui detengono il controllo. Torturare un giocatore o un creditore che non paga, per esempio, è un comportamento che va perseguito con la massima durezza ed efficacia.

 

Le critiche avanzate dall’altro versante, quello che considera la norma un’offesa alla dignità delle forze dell’ordine, sono altrettanto capziose. L’ordine da difendere è l’ordine democratico, basato sulla dignità della persona. Si capisce che in certe circostanze siano necessarie modalità di interrogatorio particolarmente penetranti, gli agenti di polizia e i carabinieri sono addestrati a esercitare anche questa delicata funzione senza superare il limite oltre il quale si arriva alla persecuzione e alla tortura. Sanno bene quali sono i loro poteri e i loro doveri, e per questo meritano la stima della popolazione. Comportamenti che non corrispondano al codice di comportamento proprio di queste istituzioni è non solo una violazione ma un tradimento della divisa, che non viene infangata dalla repressione della tortura ma lo sarebbe se questa venisse indebitamente esercitata.

 

Naturalmente tutte le leggi sono perfettibili e l’esperienza concreta potrà suggerire in futuro qualche perfezionamento, soprattutto qualche precisazione di termini che permettono interpretazioni contraddittorie, ma questo è un difetto abbastanza generalizzato, purtroppo, della legislazione italiana. In fondo anche il carattere delle critiche, ampie ma contraddittorie, fa pensare che queste si elidono a vicenda, il che spinge a considerare equilibrato il testo che alla fine è stato approvato. Il fatto stesso che non soddisfi chi puntava a proiettare nell’ordinamento la scia di campagne mediatiche e di generica denuncia (la polizia con le “mani legate” e dall’altro lato lo stato sempre “repressivo”) è, in fondo, una buona notizia.   

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