Massimo D'Alema (foto LaPresse)

Lo spleen di D'Alema dopo il Brancaccio e lo "scouting" di Renzi

Redazione

L’imbarazzo di Max, che si sente regista di un’operazione importante, ma si ritrova con materiale troppo scarso fra le mani

La domenica del Brancaccio è stata molto utile. A tutti, tranne che a Massimo D’Alema. Ogni giudizio o pregiudizio reciproco è uscito ampiamente confermato dall’assemblea gauchista di Roma, sicché ora Giuliano Pisapia sa dove fissare i paletti della sua iniziativa, chi includere e chi escludere; Matteo Renzi sa che il Pd a sinistra non dovrà misurarsi con un soggetto corposo ma, male che vada, con due liste concorrenziali fra di loro e concorrenziali con i Cinque stelle; e infine i pasionari del Brancaccio sanno che non dovranno affrontare impegni troppo grandi per loro, potendo delegare mediazioni e cultura di governo a qualcun altro.

 

 

L’intervista che D’Alema ha dato martedì al manifesto – quotidiano che, ai tempi belli di entrambi, schifava sommamente – tradiva l’imbarazzo di chi si sente regista di un’operazione importante, ma si ritrova con materiale troppo scarso fra le mani. La delusione più grande l’ha ricevuta da Tomaso Montanari, che in passato ha considerato parte della propria scuderia intellettuale: collaboratore di Massimo Bray, assiduo di Italianieuropei, D’Alema era arrivato al punto di spingerlo fra le braccia della giunta Raggi, occasione nella quale per sua fortuna lo storico dell’arte ha mostrato più saggezza del suo pigmalione professionista della politica. E dopo la saggezza, è venuta la schiettezza: incapace di fingere, invece di limitarsi a sparare sul renzismo Montanari al Brancaccio ha demolito senza eccezioni vent’anni di centrosinistra ulivista, a cominciare da Prodi, Bersani e lo stesso D’Alema. Insomma tutti coloro che, in linea molto teorica, avrebbero dovuto essere interlocutori del nuovo soggetto alla sinistra del Pd.

 

Così la partita s’è chiusa. Ora rimane solo da vedere se e quando D’Alema ne subirà la conseguenze. Dalle parti di Prodi-Pisapia di lui non volevano sapere nulla prima, figurarsi adesso. Con Bersani siamo agli sgoccioli di una convivenza sempre mal sopportata da entrambi. Insomma, il preannunciato remake del fortunato film “Il deputato di Gallipoli” potrebbe non essere un gran successo.

 

Ciò detto, tutto rimane molto difficile in quell’area di centrosinistra “di governo” che eventualmente raggruppata nel listone sponsorizzato da Prodi potrebbe puntare al 40 per cento per ambire a governare senza cercare alleanze al centrodestra. In realtà, già solo la battaglia di parole su Consip ingaggiata dai bersaniani al Senato contro Luca Lotti suggerirebbe che il progetto di ritrovarsi tutti insieme domani sia poggiato sul nulla, però in Parlamento tutti fanno notare che gli otto mesi che ci separano dalle elezioni sono un’eternità: volendo, si fa in tempo a rientrare da qualsiasi polemica.

 

C’è un piano che assegna proprio all’agenda parlamentare questo compito, e guarda caso se ne fanno promotori i due presidenti delle camere. Da tempo, sia Boldrini che Grasso prospettano una fine di legislatura in cui, accanto alla legge di stabilità, si chiuda l’iter di leggi che sembrano fatte su misura per un preciso disegno politico-elettorale. A cominciare dallo ius soli, naturalmente, il biotestamento e, nella versione estesa, boldriniana: il cognome delle madri ai figli, l’assistenza agli orfani dei femminicidi, il reato di tortura e quello di omofobia. Sono gli stessi titoli del pacchetto di cui Repubblica, grande sponsor di Pisapia, lamentava l’abbandono quando sembrava che la legislatura stesse per chiudersi.

 

Non ci sarebbe nulla di sconvolgente, per il Pd: sono tutte leggi che ha già approvato in alcuni passaggi parlamentari. Solo, al Nazareno devono decidere se davvero vogliono chiudere la mancata legislatura costituente con questo scoppiettante festival di diritti civili. Che aiuterebbe ogni discorso a sinistra e aprirebbe nuove contraddizioni nei Cinque stelle, ma di certo approfondirebbe il solco col centrodestra proprio ora che, col voto su Lotti a palazzo Madama, i rapporti con Forza Italia e Ala sono migliorati.

 

Oltre tutto, il ruolo giocato da Boldrini e Grasso (lui anche candidato in pectore per la Regione Sicilia) rafforza curiosamente la somiglianza fra questo scenario di fine legislatura e la situazione che si venne a creare alla sua apertura, nel 2013. Una stagione che durò il tempo di una illusione: quando Bersani sperava di usare l’elezione dei presidenti delle Camere per “fare scouting” fra i grillini e conquistarli alla causa del suo governo mai nato. E allora: quanto è probabile che Matteo Renzi, per far piacere a Pisapia e a Repubblica, voglia ripetere proprio quelle mosse, sostanzialmente resuscitando gli stessi equilibri politici nel frattempo più volte uccisi e sepolti, inseguendo la stessa velleità di vincere e governare “da sinistra”?

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