Ecco il partito delle elezioni subito

Redazione

Economia e finanza spingono per tornare alle urne in autunno. Troppi i rischi per l'Italia se si aspetta il 2018

Non solo i partiti cosiddetti “populisti”, Lega e M5s in testa, che vorrebbero ridare “la parola al popolo”. Non solo Matteo Renzi che, da quando è uscito da Palazzo Chigi, sta ovviamente pensando ad un modo per ritornarci e viene accreditato di manovre più o meno oscure per far cadere il governo guidato da Paolo Gentiloni. L'idea di tornare al più presto al voto, anticipando la scadenza naturale della legislatura, sta cominciando a farsi strada anche e soprattutto all'interno del mondo economico.

 

Il motivo è semplice e lo ha spiegato il presidente di Bnl, Luigi Abete, in un'intervista al Foglio lo scorso 21 aprile. “La mia idea - aveva detto - è che non possiamo aspettare a lungo, ma è una risposta che si basa su considerazioni razionali e che ha bisogno di essere articolata. La manovrina da 3,5 miliardi sembrava un problema esistenziale, che però si è sgonfiato subito. In un anno elettorale in Francia e Germania l’interesse dell’Europa è quello di mantenere tranquillo il contesto economico. Per problemi oggettivi, vedi l’elevato debito pubblico, e soggettivi, come l’instabilità politica, il vero rischio per l’Italia non è il 2017 ma gli anni successivi”.

 

 

 

“Ci sono almeno tre elementi che ci fanno considerare il 2017 un anno tranquillo, quindi con meno rischi di instabilità – aveva aggiunto Abete – il primo è che l’Italia è in un trend di crescita seppur contenuta rispetto alla media europea, il secondo è che il Quantitative easing della Bce è tuttora attivo e il terzo è che il target della Bce del 2 per cento d’inflazione non è ancora raggiunto. Più si va avanti, più aumenta il rischio che l’Italia si ritrovi ad affrontare le elezioni in una situazione meno stabile. Nel 2018 il tasso medio d’inflazione può avvicinarsi al 2 per cento, ciò vuol dire che potrebbe esserci una politica monetaria di rientro del Qe più forte. Si corre il rischio che si alzino i tassi e con essi gli interessi sul debito. A ciò si aggiunga che nel 2018 comincerà la competizione per la successione di Mario Draghi alla Bce, con il rischio emerga più forte una visione tedesca”.

 

A tutto questo si aggiunge, ovviamente, la vittoria di Emmanuel Macron in Francia e quella, probabile, di Angela Merkel in Germania: “Loro faranno le loro strategie, avranno governi che si daranno obiettivi su una prospettiva quinquennale, mentre il coinvolgimento dell’Italia diventerebbe più debole in un anno pre elettorale”. E ancora: “I fattori istituzionali potranno solo peggiorare la situazione. Bisogna fare una legge di Stabilità che mantenga il controllo del debito, riducendolo lievemente, e si dovrà ridurre il deficit ma non in maniera drastica. Come è sempre accaduto l’Unione europea sarà più o meno accomodante, non si andrà all’1,2 di deficit come promesso ma si scenderà di qualche decimale. È sempre andata così, seguendo il graduale rientro dal deficit che sta facendo l’Italia. È l’instabilità politica, che può provocare danni sui tassi d’interesse. Basta solo la percezione dell’instabilità per far salire il costo del debito di una ventina di miliardi l’anno”.

 

 

Una linea condivisa anche dall'economista Francesco Giavazzi che sempre al Foglio, ieri, ha spiegato: “Per adesso, anche dopo la vittoria di Macron, in Europa cambierà poco, almeno fino alle elezioni tedesche. Ma arrivati a ottobre ci sono sul tavolo due problemi di breve periodo che possono essere affrontati anche senza cambiare i Trattati e che riguardano le banche: il Fondo di risoluzione, che va capitalizzato più rapidamente, e i Non performing loans. Il miglior biglietto da visita è mettere sotto controllo il debito, invertire la tendenza di crescita degli ultimi anni. I tempi non ci aiutano perché si inizierà a discutere delle cose importanti in Europa a fine anno e quando gli altri si siederanno al tavolo noi saremo in campagna elettorale. Fare una legge elettorale decente e andare a votare in anticipo aiuterebbe”.