Chiara Appendino, sindaco di Torino (foto LaPresse)

Il testacoda di Appendino sul bilancio del comune è più di una gaffe

David Allegranti

Sgoverni a cinque stelle: il caso di Torino

Roma. Ma Chiara Appendino è davvero del M5s? Il dubbio viene, e non solo perché i renziani sono convinti che la sindaca di Torino in un’altra vita sarebbe stata perfetta per una delle prime Leopolde; è che la giunta continua a smentire se stessa e vari dettami a Cinque Stelle. Il testacoda più evidente, lo abbiamo già raccontato sul Foglio, riguarda il centro congressi Westinghouse. In campagna elettorale, Appendino e soci dicevano di voler bloccare la cittadella del commercio a ridosso del centro. A fine novembre però la giunta ha dato il via libera. Troppo ghiotti quei 19 milioni e 600 mila euro per le casse del Comune per lasciarseli sfuggire.

 

Lo stesso accade in queste settimane con gli oneri di urbanizzazione, messi a bilancio dalla giunta per pagare la parte corrente. “Chissà cosa ne pensano i puristi del M5s di questo grafico in cui si evidenzia il comportamento finanziario degli ultimi anni sul ricorso agli oneri di urbanizzazione per pagare la spesa fissa del Comune. Ah, nota alla lettura: Fassino è del Pd e Appendino del M5s, non viceversa”. Nel grafico, fatto circolare dal capogruppo del Pd in Comune Stefano Lo Russo, ex assessore all’urbanistica della giunta Fassino, c’è un numero che balza agli occhi: il comune userà 36,6 milioni di oneri di urbanizzazione per finanziare la spesa corrente. Se si scorre la sfilza di dati, si vede che fra il 2012 e il 2016, durante il mandato di Fassino, la cifra era stata portata a zero, per poi risalire l’ultimo anno a 13,6 milioni, utilizzati dalla Appendino a novembre per fare l’assestamento di bilancio. La sindaca spiegò però che non sarebbe più accaduto, tant’è che il M5s votò in Consiglio comunale una mozione che impegnava la giunta a “non utilizzare, in futuro, queste entrate per finanziare la spesa corrente, ove anche fosse consentito, ma a prevedere che tali oneri ricadano in tutto o in parte sui territori interessati dagli interventi”. Qualche settimana fa, quella mozione è stata smentita da una delibera, con cui la Appendino ha chiuso il bilancio, in piena contraddizione con il documento votato l’anno scorso in Consiglio. Il bilancio di previsione del comune di Torino è finito così sotto accusa: otto gruppi di opposizione hanno presentato un ricorso al Tar contro la maggioranza per far saltare il ricorso agli oneri di urbanizzazione.

 

“Entrate continuative per un’amministrazione – dicono dal Pd – non possono essere le multe oppure gli oneri di urbanizzazione, i contributi delle Fondazioni bancarie. Il grado di incertezza rispetto alle realistiche previsioni di incasso arrivati a questo punto dell’anno rende la voce entrate sprovvista di fondamento e, in alcuni casi, del tutto fantasiosa”.

 

Finora l’attenzione dei media italiani si è concentrata soprattutto sulle vicende di Virginia Raggi. Chiara Appendino invece è una che piace alla gente che piace. Lo Russo pensa che questo “silenzio” non sia casuale. “Mi hanno spiegato una strana teoria. Secondo questa strana teoria Appendino sarebbe, al momento, coperta da alcuni poteri furbi in quanto è una delle poche del M5s con cui in futuro poter ‘parlare’, qualora Grillo vincesse le prossime politiche”. In sintesi il ragionamento è: “Noi teniamo su la sindaca in vari modi e in cambio le facciamo firmare cambiali politiche per il sostegno che le diamo adesso in modo da poter andare eventualmente a riscuotere tra qualche mese. Se poi non vince Grillo la molliamo al suo destino. Questa teoria complottarda, fosse provata, potrebbe spiegare molte cose della strana fase politica torinese e del suo riverbero nazionale. Ma non posso credere che sia vera. Proprio non posso”.

 

In realtà è sufficiente guardare in casa Pd per capire che c’è qualcosa che non torna. Basta vedere la concordia che da mesi c’è con Sergio Chiamparino. Non a caso i due sono stati ribattezzati “Chiappendino”.

Di più su questi argomenti:
  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.