Augusto Minzolini (foto LaPresse)

Minzolini, il Pd e la democrazia

Mario Sechi

Ora il problema del partito di Renzi è quello di uscire intatto e non strafatto dalla vicenda. La legge Severino per il Pd c’è o non c’è? Perché la storia ha un peso, non si cancella con un tratto di penna o un voto in aula

Il Pd ieri ha salvato il soldato Augusto Minzolini. A destra dicono che è cosa buona e giusta, a sinistra dicono che… cosa dicono? Perché il problema non è tra i banchi di Forza Italia, è che quei 19 voti del Partito democratico in Senato sono stati il salvagente del “Minzo” e ora il problema del partito di Renzi è quello di uscire intatto e non strafatto dalla vicenda. La legge Severino per il Pd c’è o non c’è? Perché la storia ha un peso, non si cancella con un tratto di penna o un voto in aula. Contraddizioni. Come si fa a spiegare ai militanti la mossa da sottosopra del canone del progressista politicamente allineato?

 

 

La rottura con la magistratura è totale, il girotondo giustizialista è archiviato, fine di un racconto e di un mondo. L’assalto dei 5Stelle è in tuta militare ed era logico (le parole di Luigi Di Maio sono da scolaretto che non ha ancora capito come sia facile finire dietro la lavagna, dalla parte del torto, per eccesso di strafalcioni verbali), resta il punto: il soggetto della storia che resta con il cerino in mano è il Pd di Renzi. Situazione da labirintite acuta: il Pd ha un aspirante segretario che deve affrontare le primarie, un partito dilaniato, un turno elettorale dove la strategia a questo punto sembra quella di perdere meno voti possibile. Metteteci dentro l’abolizione dei voucher, la resa incondizionata con la bandiera bianca mostrata alla Cgil di Susanna Camusso e lo spettacolo ha un titolo pronto: Indietro tutta. E’ questa la svolta riformista invaligiata nel trolley del Lingotto? Tanti auguri.

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