Marianna Madia e Renato Brunetta (foto LaPresse)

Brunetta attacca Madia sul Foglio. Il ministro gli risponde così

Scambio di vedute sulla tanto agognata riforma della Pubblica amministrazione 

Al direttore - “Un altro tassello: approvata la riforma PA #lavoltabuona un abbraccio agli amici gufi”, scrisse nel 2015 su Twitter l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Sono passati poco meno di due anni e, tra sentenza della Corte costituzionale, infinite trattative sindacali, veti e controveti, di quella mirabolante riforma annunciata e riannunciata sono rimasti solo brandelli di norme scritte con i piedi che la ministra per la Pubblica amministrazione, Marianna Madia, ancora si sforza di chiamare riforma della Pa. Roba da matti. In realtà questi ultimi brandelli di norme sono solo il corrispettivo dell’accordo elettorale firmato prima del referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre tra il governo e le maggiori organizzazioni sindacali. Il referendum per Renzi e i suoi è andato male, ma le cambiali si pagano. Allora, più che di riforma possiamo parlare di controriforma. Lo slogan potrebbe sintetizzarsi con un #piùcontrattomenolegge. Tradotto: più sindacato, meno datore di lavoro (che in questo caso è lo stato).

 

Tutto ciò dopo la riforma fatta dal sottoscritto (durante l’ultimo governo guidato da Silvio Berlusconi) che ha drasticamente ridotto il potere dei sindacati che fino al 2008 aveva invece invaso tutte le competenze gestionali nelle pubbliche amministrazioni, concertando praticamente su tutto, con contratti integrativi che sforavano ripetutamente i tetti retributivi (si vedano ad esempio le retribuzioni medie di alcuni enti pubblici come l’Inps). In sintesi: adesso si torna indietro!
L’efficienza della Pubblica amministrazione dovrà passare attraverso le strette e indistricabili maglie sindacali.

 

Dalla lettura delle notizie e dei mille testi che girano si capisce che la grande riforma della Pa della ministra Madia non è altro che un gran minestrone di ingredienti che poco hanno a che fare con una visione strategica della gestione efficiente di una Pubblica amministrazione degna di questo nome. Si parla di controllo delle assenze, certificati medici, telelavoro, stabilizzazione dei precari (a danno di migliaia di idonei che hanno partecipato a un concorso pubblico) e di contratto di lavoro.

 

Tutte cose che non hanno niente a che fare con l’efficienza, con il merito, con la premialità, con la trasparenza. La riforma Brunetta aveva introdotto le tre fasce di premi per la produttività, al fine di evitare la prassi in atto di distribuire a pioggia le risorse destinate proprio alla produttività. Le fasce hanno sempre incontrato la forte contrarietà dei sindacati che con quel meccanismo non potevano più utilizzare le risorse dei premi per incrementare la retribuzione dei dipendenti in modo uguale per tutti, premiando di fatto i fannulloni a discapito dei tanti bravi e seri impiegati. E ora la Madia per pagare la cambiale dell’accordo pre referendum è pronta, in mezzo a mille ipocrisie e contorsioni lessicali, a farle saltare. Risultato #todoscaballeros. La cosa che più scandalizza di questo atteggiamento del governo è che si tratta con i sindacati la modifica di norme e non di un contratto di lavoro. Ciò non accadeva da anni e anni. E’ vero che nell’accordo pre referendum si parlava anche di rinnovo contrattuale, ma è noto che le risorse non ci sono, e non ci sono mai state. Probabilmente anche in questo caso si firmerà una cambiale che dovrà essere pagata nel 2018 dal governo che verrà (Padoan che dice di tutto questo?). La riforma del 2008 aveva imposto una inversione di rotta sulla crescita dei salari nel pubblico, più alta di quella del settore privato, e aveva riaffidato al datore di lavoro il ruolo di conduttore della gestione nella Pubblica amministrazione, riservando al sindacato la sua legittima funzione di agente contrattuale. Tutto questo sembra si stia per azzerare. Renzi, la Madia, e a questo punto anche Gentiloni, vogliono riportare con un inaccettabile colpo di spugna le lancette indietro di dieci anni. #nonèlavoltabuona, per il nostro paese, per i bravi dipendenti pubblici, per i cittadini italiani.

 
Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera

 


 

Al direttore - La lettera inviata dall’on. Brunetta è un buon esempio della distanza culturale che ci separa dalla concezione che il centrodestra ha della Pubblica amministrazione e che egli interpreta magistralmente. Solo un tema ha caratterizzato il suo mandato ministeriale e noto che continua a contraddistinguere i suoi interventi: l’enfatica demonizzazione del dipendente pubblico. Non solo nessuno ricorda un vago miglioramento dei servizi pubblici, ma anche le norme punitive tanto ostentate si sono rivelate del tutto inefficaci. Le truffe sulle presenze hanno continuato a verificarsi, senza sanzioni rapide; la produttività della Pa non è certo aumentata e i premi hanno continuato a essere distribuiti a pioggia.

 

A me interessa invece porre le condizioni per una amministrazione trasparente, che abbia un rapporto con il privato non dall’alto verso il basso e assicuri ai cittadini servizi migliori in tempi certi. Naturalmente siamo intervenuti anche sulle norme sanzionatorie, ma per farle funzionare, visto che le norme precedenti si sono rivelate inefficaci. Adesso chi truffa sulla presenza viene sospeso in 48 ore e licenziato entro 30 giorni. Ma non è questo il cuore della riforma. La riforma della Pa si rivolge anzitutto ai cittadini e agli imprenditori. Abbiamo introdotto il Freedom of information Act (Foia) che consente alle persone di conoscere liberamente dati e documenti della Pa, inaccessibili solo fino a qualche mese fa. Grazie al diritto di sapere, ciascuno di noi può conoscere, ad esempio, la qualità della ditta che si occupa della mensa nella scuola dei propri figli o se i luoghi che frequentiamo sono esposti a rischio amianto. E potrei continuare.

 

Abbiamo poi inaugurato il sistema di identità digitale, che conta già oltre un milione di utenti e consentirà sempre di più alle persone di interagire con la Pa on line, con uno smartphone, senza doversi recare fisicamente negli uffici pubblici. Sono oltre 4 mila i servizi già attivi tra i quali l’accesso online al proprio 730 o l’iscrizione a scuola. Con il nuovo testo unico delle società partecipate verranno chiuse migliaia di partecipate inutili (sono quasi 2 mila solo quelle che hanno più consiglieri di amministrazione che dipendenti), liberando risorse che le amministrazioni potranno utilizzare per servizi davvero utili alle persone. Sul fronte del rapporto tra la Pa e gli imprenditori, siamo intervenuti per assicurare, finalmente, tempi certi e regole chiare per le autorizzazioni. Cito, tra tutte, la nuova conferenza dei servizi che sta già funzionando e consente a un imprenditore di avere pochi interlocutori pubblici – e non decine come accadeva prima – che hanno il potere/dovere di assumere decisioni univoche, in tempi certi. Ma vorrei citare anche la nuova norma sul silenzio-assenso tra amministrazioni che responsabilizza gli uffici e consente ad un privato di ottenere un sì o un no alla scadenza del termine senza, ulteriori dilazioni o incertezze.

 

Tutti i decreti legislativi attuati, anche se qualcuno poteva sperare diversamente, sono in vigore ed efficaci, come del resto affermato nella sentenza della Corte costituzionale e confermato dal Consiglio di stato. E vengo infine all’altra “celebre” ossessione di Brunetta: i sindacati. Noi stiamo facendo quello che il centrodestra ha impedito per anni: il rinnovo del contratto. Già perché pochi sanno che il blocco dei rinnovi contrattuali è stato posto per la prima volta dal governo Berlusconi e ancora meno sanno che le norme volute da Brunetta, se non modificate, determinerebbero una riduzione certa di qualche centinaia di euro, nelle buste paga di infermieri e maestre dei nidi, solo per citarne alcune delle categorie, senza che ciò risulti minimamente collegato ai risultati concretamente realizzati dalle amministrazioni. Dunque, per rinnovare il contratto stiamo parlando con i sindacati certo, perché i contratti si fanno in due. Ma sono convinta che quando il contratto verrà siglato, anche il capogruppo di Forza Italia sarà soddisfatto, non fosse altro perché sono due anni che dall’opposizione invoca a gran voce il rinnovo contrattuale.

 

Marianna Madia ministro della Pubblica amministrazione