Oltre Delrio. Il congresso del Pd spiegato con i fuorionda che non sentirete

David Allegranti

I politici spesso dicono una cosa ma in realtà ne pensano un’altra. Vedi Renzi e Bersani

Roma. In politica arriva sempre il momento del disvelamento. E’ il momento in cui la scena prende il sopravvento sul retroscena. Di solito perché ciò avvenga c’è bisogno di una frazione di secondo di spontaneità. I politici spesso dicono una cosa ma in realtà ne pensano un’altra. Vedi Renzi e Bersani. Proviamo a fare un esperimento e a costruire piccoli fuori onda.

 

“Io voglio evitare qualsiasi scissione”. “Ho passato due mesi a fare autocritica. Chi mi dipinge come uno assetato di rivincita non mi conosce: voglio solo che chi crede in una politica diversa non si senta abbandonato, altrimenti sarei già andato a fare altro. Vivo una fase bellissima” (Matteo Renzi al Corriere).

Se Bersani e soci vogliono andarsene, mi fanno un piacere. Io non voglio dar loro alcun alibi per comportarsi da povere vittime. Anche perché la vera vittima qui sono io; nessuno mi difende, tutti mi attaccano. Sono libero, ma anche triste. A volte non capisco più nemmeno i renziani.

 

“Cosa dico a Renzi e Bersani nelle telefonate da mediatore? Quello che dico pubblicamente. Capisco il disagio della minoranza. Decidiamo insieme come si riesce a far sentire tutti a casa propria. Ci siamo già riusciti nel breve viaggio del Pd. Io divento segretario in un momento difficilissimo. Affrontiamo le Europee e otteniamo il miglior risultato della nostra storia, se si escludono il 34 per cento di Veltroni e il 40.8 di Renzi” (Dario Franceschini a Rep., che ha proposto una mediazione per allungare i tempi del congresso fino a maggio).

E’ chiaro che Renzi a Palazzo Chigi non ci mette più piede. Ma al congresso vince lui e io non posso permettermi di stare con chi perde. Tantomeno posso seguire Speranza, che non ha voti nemmeno per vincere in una riunione di condominio.

 

“Ognuno deve riconoscere che c’è parecchio da correggere nell’azione di governo e nella vita del partito. E c’è assoluta urgenza di farlo. Il Pd non può essere collocato nell'establishment ma la sua forza la deve trovare in chi si sente escluso e non si piega alle nuove demagogie” (Pier Luigi Bersani su Huffington Post).

Renzi se ne deve andare a casa. Il problema non è il Pd, non è manco l’establishment: il problema è che la ditta non è cosa sua. La ditta è nostra. Se Renzi se ne va, noi restiamo. Il Pd va derenzizzato.

 

“Io candidato? Il problema non è di nomi, ma di idee. Se riusciamo a trovare un comun denominatore, evitiamo di dividerci in maniera profonda” (Andrea Orlando).

Speranza non ha speranza. Rossi lasciamo stare. Emiliano invece è competitivo. Il problema è che se c’è il congresso subito, io non sono pronto con la mia candidatura. Ma nei prossimi mesi sarebbe tutta un’altra storia.

 

“Ci adopereremo senza sosta per l’unità del nostro partito che consideriamo un valore per tutto il Paese” (Lorenzo Guerini).

E’ finita. Ma si può sapere Bersani che cosa vuole? Ha già deciso di andarsene, diciamo la verità. Io poi parlo con tutti, perché questo è il mio ruolo. Ma ormai la scissione è fatta.

 

“Ci sono valori comuni che abbiamo condiviso e che ci uniscono da dieci anni. Voglio credere che per la minoranza del partito i valori del centrosinistra contino più di tutto” (Debora Serracchiani).

Se non era per YouTube, io ero ancora a fare la segretaria del Partito democratico a Udine. Comunque, se i bersaniani se ne vanno non è un dramma, e c’è più spazio per tutti: io mica voglio stare tutta la vita in Friuli, eh.

 

“Orlando candidato alla segreteria? Io cederei il posto a chiunque abbia più chance di me” (Michele Emiliano).

Col tubo che mi ritiro. Qui ci sono le liste da fare, e un dieci per cento nel Pd mi dà un potere che non avrei in nessun altro partito fuori dal Pd.

 

“Non è Renzi che sta spaccando il partito, non ha spaccato il Paese. Ha proposto una riforma che il Paese ha rifiutato. Renzi sta dicendo andiamo al congresso e confrontiamoci, sia il congresso a mettere in campo le proposte per riunire Pd e il Paese. Non è una sfida su Renzi” (Graziano Delrio). “Si è litigato di brutto perché non è che puoi trattare questa cosa qui come un passaggio normale. Cioè, tu devi far capire che piangi se si divide il Pd, non che te ne frega, chi se ne frega. Non ha neanche fatto una telefonata, su… Come cazzo fai in una situazione del genere a non fare una telefonata?” (Ecco, questo è effettivamente il pensiero autentico di Delrio sulla scissione: solo che per conoscerlo ci voleva appunto un fuorionda. In 40 secondi il ministro è riuscito a distruggere due pagine di intervista conciliante di Renzi al Corriere). 

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.