Matteo Renzi alla Leopolda del 2015 (foto LaPresse)

Trasformare ciò che è debolezza in forza: le distanze. Renzi, la Leopolda, il modello Scala mobile

Claudio Cerasa
E’ probabile che quest’anno il raduno della comunità renziana non riuscirà a scaldare i cuori come un tempo. Ma in Italia esiste da sempre una maggioranza silenziosa che non si appassiona al partito del No. Il premier deve ripartire da questo - di Claudio Cerasa

E’ la prima volta che Matteo Renzi arriva alla Leopolda con uno spirito leggermente diverso rispetto al passato. I sondaggi c’entrano e non c’entrano, i numeri di nemici che si moltiplica di giorno in giorno c’entra e non c’entra, la divisione profonda che esiste nel Pd, tra due idee diverse di intendere la sinistra, anche qui c’entra fino a un certo punto: c’è sempre stata e paradossalmente è sempre stata una forza importante del progetto renziano. Il punto è leggermente più complesso: per la prima volta Renzi arriva alla Leopolda con l’atteggiamento di chi ha qualcosa da perdere e la paura di perdere quello che è l’ultimo vero passaggio della rottamazione, il referendum costituzionale, se non domata con attenzione può portare a commettere errori, a snaturare se stessi, a perdere le coordinate che hanno permesso a Renzi di orientarsi con grande abilità nel mappamondo della politica e arrivare dove si trova oggi. Il presidente del Consiglio deve averlo capito bene la scorsa settimana a Piazza del Popolo, a Roma, e lo noterà con certezza anche in queste ore a Firenze: mettere insieme un popolo, una piazza, una comunità per un Sì è infinitamente più difficile che mettere insieme un popolo per il No e per questo il ritorno alla Leopolda può aiutare il presidente del Consiglio a rimettere insieme alcuni tasselli importanti del suo mosaico politico e a trasformare quello che oggi sembra un punto di debolezza della campagna renziana in un punto di forza: la distanza.

 

La forza della Leopolda, in tutti questi anni, è stata proprio questa, la distanza da alcune sacche di conservazione e di cialtronismo del paese, e l’unica speranza che ha Renzi di non essere rottamato dal referendum sulla rottamazione è quella di riavvolgere il nastro e trovare un modo per rimettere in circolo i punti di forza dello schema Leopolda. Charlie Chaplin, con ironia, diceva che gli uomini di successo fanno colpo sulla gente quando tengono le distanze e nei prossimi trenta giorni (si vota il 4 dicembre) l’approccio di Renzi deve ripartire da qui. Deve far leva sulla peculiarità di un’esperienza che può finire male ma che in questo momento è unica: la distanza dal partito delle manette, la distanza dal partito della patrimoniale, la distanza dal partito della concertazione, la distanza dal partito del proporzionale, la distanza dal partito del circo mediatico, la distanza di chi usa la giustizia per fare politica, la distanza dal partito della democrazia digitale, la distanza dal partito della secessione, la distanza dal partito del protezionismo, la distanza dal partito del reddito di cittadinanza, la distanza da quella sinistra cresciuta con la stessa cultura del no che ha aperto la strada al partito delle scie chimiche e infine la distanza da tutti coloro che negli ultimi vent’anni hanno utilizzato mille scuse diverse (spesso la difesa della Costituzione) per difendere un sistema politico come quello attuale che alimenta il circolo vizioso di una democrazia consociativa e che impedisce la nascita di una vera democrazia competitiva. La forza del modello Leopolda, e anche di Renzi, è sempre stata questa.

 

E’ probabile che quest’anno il raduno della comunità renziana – il governo è una cosa, la lotta per arrivare al governo è un’altra – non riuscirà a scaldare i cuori come un tempo. Ma se c’è una lezione che Renzi può cogliere dal ritorno alla Leopolda, e dal riavvolgimento del nastro della sua carriera politica, è che in Italia esiste da sempre una maggioranza silenziosa che non si appassiona al partito del No, che fa fatica a scendere in piazza per il Sì, ma che si sente distante da tutte le cose da cui Renzi può rivendicare una sua lontananza. I sondaggi non sono buoni, e questo si sa. La paura di aver qualcosa da perdere esiste, ed è naturale. Ma la partita, come si dice, è ancora aperta. E la possibilità che il referendum di dicembre abbia lo stesso destino del referendum sulla scala mobile esiste. E per vincere la partita Renzi, forse, dovrebbe partire proprio da qui.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.