Matteo Renzi (foto LaPresse)

Che vinca il Sì o il No, Renzi si dimetta comunque. Un editoriale del Wall Street Journal

Redazione

Il riformismo del premier è molto più importante per l'Italia e per gli equilibri mondiali di quanto l'elettorato italiano comprenda. E per spersonalizzare il voto di dicembre, al presidente del Consiglio non resta che dimettersi a prescindere dall'esito della consultazione, alzando la posta in gioco.

Rivolgendo un brindisi al presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi, durante la cena di stato organizzata in suo onore dalla Casa Bianca, il mese scorso, il presidente americano Barack Obama ha dichiarato che il suo ospite dovrebbe "rimanere in campo a prescindere da tutto". Obama si riferiva ovviamente al referendum costituzionale del 4 dicembre prossimo, e il suo voleva essere un invito al premier italiano a non considerare l'apertura di una crisi di governo nel caso la consultazione dovesse concludersi con la vittoria del No alla riforma.

 

Secondo Pierpaolo Barbieri, direttore esecutivo della società di consulenza geopolitica e macroeconomica Greenmantle, il premier italiano dovrebbe fare però l'esatto opposto di quanto auspicato da Obama. La scelta di Renzi di indire il referendum "nell'anno del voto di protesta" - premette Barbieri in un editoriale sul Wall Street Journal - è stata obbligata: il Parlamento ha varato la riforma con margini strettissimi e a prevedere il referendum, in questo caso, è la costituzione stessa. L'emendamento proposto dal governo, al di là della formulazione, "è chiaro: semplificare i bizantinismi del processo legislativo italiano trasformando il Senato in un organo consultivo", e porre così fine al "bicameralismo perfetto".

 

Gli oppositori alla riforma, però, sono numerosi, al punto da aver creato i sodalizi più disparati: "Senatori autorevoli che hanno votato per la stessa riforma in Parlamento, come Mario Monti; populisti che lamentano il costo esorbitante e la corruzione del governo italiano, come Beppe Grillo; addirittura alcuni esponenti del partito di Renzi, che in passato hanno guidato commissioni per varare analoghe modifiche costituzionali, come Massimo D'Alema". A unire queste personalità, sostiene Barbieri, "non è tanto l'antipatia per la riforma, quanto quella nei confronti di Renzi".

 

Il premier potrà anche risultare antipatico, scrive l'autore dell'editoriale, "ma le riforme economiche, del Lavoro e della Giustizia che il suo governo ha varato dopo essere salito al potere hanno portato l'Italia più vicina a un profondo rinnovamento strutturale di quanto sia mai stata nell'arco di decenni", tanto da "ricordare il programma Agenda 2010 che ha trasformato la Germania da 'malato d'Europa' nel 2004 alla potenza continentale che è oggi". Gli avversari di Renzi "non hanno alcuna alternativa in grado di produrre riforme su questa scala. E non sorprende - attacca l'autore dell'editoriale - che i sindacati stiano tentando di sfruttare questo referendum per liberarsi del premier e preservare lo status quo".

 

In questa fase storica e politica, insomma, "l'Italia ha bisogno di Renzi". E ne ha bisogno pure l'Europa: il premier italiano "è un europeista costruttivo che può permettersi di criticare la Germania per la sua resistenza al processo di ulteriore federalizzazione continentale, necessaria a rendere sostenibile l'unione monetaria". Ed è per queste ragioni, conclude Barbieri, che "Renzi dovrebbe annunciare l'intenzione di dimettersi a prescindere dall'esito del referendum". Il premier "è più importante in Italia e all'estero di quanto l'elettorato italiano comprenda. Solo alzando la posta in gioco potrà de-personalizzare il referendum e alzare il velo sulla vacuità delle posizioni dei suoi avversari".

 

Separando il suo futuro politico dalla riforma costituzionale, inoltre, Renzi renderebbe chiaro ai cittadini che la scelta è tra "riforma e stasi". Quanto agli avversari del premier, dopo le dimissioni di quest'ultimo potrebbero provare a cimentarsi con una alternativa di governo. Renzi, però, emergerebbe quasi certamente vincitore, e così "rafforzerebbe il proprio mandato democratico". La preoccupazione dei mercati per l'esito del referendum, puntualizza infine l'autore dell'editoriale, non è per forza necessaria: chiarendo di volersi dimettere a prescindere dal risultato, Renzi può indebolire i suoi avversari e rafforzare la propria posizione.