Carlo Azeglio Ciampi nel 1993 esce dopo aver ricevuto l'incarico per formare un governo tecnico dal Presidente della Repubblica, dietro di lui il segretario generale del Quirinale Gaetano Gifuni (foto

Ciampi e il “metodo Baffi” alla prova dell'attacco affaristico-giudiziario

Luciano Capone
L’incriminazione dell’allora governatore di Bankitalia Paolo Baffi e l’arresto del responsabile della vigilanza Mario Sarcinelli fu uno dei primi casi – senz’altro il più clamoroso – di uso politico della giustizia. Libro in uscita: “Servitore dell’interesse pubblico” (Nino Aragno editore) dello storico dell’economia Beniamino Piccone.

Roma. “Ricordo bene quel sabato, un sabato drammatico. Era il 24 marzo 1979. Quella mattina ricordo ancora che ero in macchina a via Nazionale, e in senso opposto transitò un’autoambulanza a sirene spiegate: non sapevo che dentro c’era Ugo La Malfa, ormai morente. Andai in Banca, lavorai tranquillamente. A un certo punto entrò nella mia stanza Sarcinelli che mi disse: ‘Carlo, sono venuti ad arrestarmi’. Mi precipitai da Baffi e lo trovai distrutto. Aveva in mano il documento che gli avevano consegnato, con l’incriminazione per lo stesso reato contestato a Sarcinelli”. Così l’appena scomparso Carlo Azeglio Ciampi ricordò la giornata che, inaspettatamente, l’avrebbe portato in breve tempo al vertice di Palazzo Koch: mentre alcuni magistrati sferravano un attacco micidiale alla Banca d’Italia, moriva il politico che più di tutti aveva voluto la nomina di Baffi e ne aveva difeso l’autonomia.

 


Paolo Baffi


 

L’incriminazione dell’allora governatore Paolo Baffi e l’arresto del responsabile della vigilanza Mario Sarcinelli fu uno dei primi casi – senz’altro il più clamoroso – di uso politico della giustizia, mascherato da alcuni pm con l’applicazione del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. L’intera vicenda è raccontata dallo storico dell’economia Beniamino Piccone in un libro appena pubblicato che raccoglie anche le lettere più significative di Baffi e che a partire dal titolo ne descrive il ruolo nella vita pubblica italiana: “Servitore dell’interesse pubblico” (Nino Aragno editore). A incriminare Baffi e Sarcinelli per favoreggiamento e interesse privato in atti d’ufficio sono il giudice Antonio Alibrandi, padre del terrorista nero dei Nar Alessandro, e il sostituto procuratore Luciano Infelisi, ma la volontà di colpire la Banca d’Italia arriva da quello che Baffi ebbe a definire come “complesso politico-affaristico-giudiziario”.

 

I due erano pretestuosamente accusati di aver chiuso gli occhi sui finanziamenti al gruppo chimico di Nino Rovelli, ma le vere colpe di Baffi e Sarcinelli erano di aver sciolto il cda di Italcasse (feudo finanziario della Dc), di aver ordinato un’ispezione al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi e di essersi opposti ai piani di salvataggio delle banche di Michele Sindona, gli stessi piani a cui si oppose il commissario liquidatore Giorgio Ambrosoli pagando con la propria vita (e non è un caso se Baffi fu l’unico rappresentante delle istituzioni presente al funerale dell’“eroe borghese”). Baffi e Sarcinelli erano completamente innocenti e vennero prosciolti da ogni accusa due anni dopo, l’11 giugno 1981, ma l’inchiesta aveva già prodotto i suoi effetti: Baffi si dimise subito da governatore per evitare scontri istituzionali e per salvaguardare l’immagine e l’autonomia della Banca d’Italia. Fu proprio lui a suggerire come suo successore l’allora direttore generale Ciampi, che iniziò il mandato minacciando di dimettersi se Sarcinelli fosse stato costretto a lasciare l’istituto.

 

E tra i primi atti pubblici da governatore, nelle “Considerazioni finali” del 1980, l’ex Capo dello stato elogiò il predecessore indagato: “Le vicende che hanno preceduto la rinuncia di Baffi ci chiamano a un’altra responsabilità, non meno ardua. Esse hanno dato corpo al duplice dubbio che si siano ristretti in Italia gli spazi per persone di alta competenza, integrità morale, senso delle istituzioni e che la tradizione di efficienza e di autonomia della Banca centrale possa incrinarsi. La via da seguire è quella di attenersi al metodo di rigore etico e professionale di Baffi”. E il “metodo Baffi” è quello che Ciampi tenterà di seguire non solo negli anni a via Nazionale, ma in tutti i successivi incarichi istituzionali.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali