Perché i sostenitori del No al referendum stanno buttando in caciara il dibattito

Claudio Cerasa
Così Massimo D’Alema, Alessandro Di Battista, Renato Brunetta, Marco Travaglio, Matteo Salvini, Maurizio Landini stanno personalizzando la chiamata referendaria. Sono le stesse persone che hanno accusato Renzi di averla personalizzato.

Al direttore - In teoria il referendum sulla riforma costituzionale ha per oggetto la scelta tra il modello proposto dal ddl Boschi e l’usato sicuro della Costituzione attualmente vigente, in realtà una vittoria del No sconvolgerebbe il panorama politico e potrebbe portare a lacerazioni e addirittura a una crisi complessiva del nostro ordinamento. La vittoria del No avrebbe come conseguenza immediata una versione peggiorata del bicameralismo perfetto, con due Camere con uguali competenze ma elette con criteri radicalmente diversi e quindi incapaci di esprimere un governo. Per evitare ciò, dal momento che Renzi rassegnerebbe prontamente le dimissioni, si dovrebbe procedere alla formazione di un nuovo governo avente come compito primario e immediato l’adozione di leggi elettorali nuove, e reciprocamente compatibili, per i due rami del Parlamento. A rigore tale governo dovrebbe essere espresso dalle forze che ne abbiano reso necessaria la formazione, e cioè da un’alleanza tra M5s, FI, Lega, FdI, Sinistra italiana e corpuscoli centristi, o quantomeno tra le principali di tali forze; essendo tale soluzione impossibile, la sola alternativa realistica sarebbe un governo istituzionale e di scopo sostenuto da Pd, FI e centristi (difficilmente dalla Lega e da FdI, certamente non dal M5s e da Sinistra italiana). Tale governo, se mai riuscisse a formarsi, avrebbe una vita breve (al massimo un anno), durante la quale la sua azione dovrebbe concentrarsi sulla riforma elettorale, per almeno una delle due Camere, e verosimilmente per entrambe: un compito già di per sé arduo, data la rivalità tra le forze che dovrebbero sostenerlo, e reso assai rischioso dalla prospettiva di elezioni a brevissima scadenza e dalla minaccia di un’opposizione, il M5s, che avrebbe in mano molte buone carte. Per quanto riguarda le riforme elettorali le soluzioni possibili sono: a) Consultellum per Camera e Senato; b) Italicum con premio di lista per entrambe le camere; c) idem con premio di coalizione; d) collegio uninominale con doppio turno; e) ritorno al Mattarellum, con modifica di qualche parametro. Non intendo entrare nel merito di queste diverse alternative e invito semplicemente a figurarsi il clima politico nel quale la vita del nuovo governo si svolgerebbe, con forze di governo chiamate da un lato a prendere decisioni di politica economica e finanziaria difficili (e politicamente costose) e dall’altro a scegliere, nell’imminenza di elezioni, delle leggi elettorali che inevitabilmente favoriranno una di esse a spese dell’altra, e probabilmente entrambe a spese di un M5s che avrà buon gioco nei confronti dei partiti al governo, entrambi impegnati a combattere al tempo stesso l’alleato e l’opposizione. Il M5s si trova davanti all’invidiabile alternativa tra due situazioni a lui favorevoli: se vince il Sì, con una legge elettorale favorevole e un sistema politico più facile da gestire, in caso contrario con un quadro istituzionale meno favorevole che nel primo caso, ma con il vantaggio di confrontarsi con un governo debole e diviso; la situazione di FI, e dei suoi alleati, è sostanzialmente speculare, e prospetta un quadro drammaticamente difficile se vince il No e solo moderatamente tale se vince il Sì; nel caso del Pd (e più precisamente della sua maggioranza, dal momento che la minoranza gioca soltanto a perdere e si trova scegliere tra una vittoria del governo e una del M5s) l’alternativa è tra due esiti forti, favorevole se vince il Sì, sfavorevole se vince il No. L’alternativa che per esso si presenta è se pagare o meno il prezzo di una correzione dell’Italicum per migliorare le probabilità di vittoria del Sì. Personalmente ritengo che il prezzo della correzione sia piuttosto elevato, per il danno che apporterebbe alla governabilità, per il segnale di incertezza che trasmetterebbe e perché legittimerebbe l’accusa del M5s di una congiura ai suoi danni, mentre è difficile valutare la portata dei consensi che essa apporterebbe.

Eugenio Somaini

 

 

Sono considerazioni interessanti le sue e ci sarà tempo per tornare sul tema. Per il momento mi limito a notare un elemento significativo: oggi il referendum lo stanno personalizzando le stesse persone che hanno accusato Renzi di averlo personalizzato. Dire “votate no per mandare a casa Renzi”, come chiedono Massimo D’Alema, Alessandro Di Battista, Renato Brunetta, Marco Travaglio, Matteo Salvini, Maurizio Landini, è più semplice che entrare nel merito del perché è necessario (a) custodire l’attuale status quo costituzionale e (b) tenersi allegramente il bicameralismo perfetto. Come dice il vecchio detto, when in trouble, buttala in caciara.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.