Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Basta con il Fiscal compact. Pazza idea di Renzi per il 2016

Claudio Cerasa
Eliminarlo? No. Rinegoziarlo? Sì. L’Europa, i vincoli che rischiano di diventare come una camicia di forza, i calcoli (con brividi) per l’anno che sarà. Così Renzi prepara la sua caccia contro il totem dell’austerità – di Claudio Cerasa

La rottamazione renziana, si sa, è da tempo alla ricerca di un nuovo complemento oggetto, di un qualcosa che possa aiutare il presidente del Consiglio a identificare e a inquadrare un nemico che sia un filino più concreto di un piccolo gufo in miniatura disegnato su una slide di Palazzo Chigi, e in un anno cruciale come quello che si è appena aperto, anno di referendum costituzionale e di elezioni amministrative, al capo del governo servirebbe come il pane un nemico concreto contro cui iniziare a combattere e contro il quale creare un robusto movimento di consenso. Nelle ultime settimane Renzi ha indirizzato il mirino delle sue polemiche contro un obiettivo tutto sommato facile come “la cattiva Europa dei burocrati” ma a quanto risulta al Foglio, una volta incassato il sì definitivo della Commissione sulla legge di Stabilità, nei prossimi mesi il vero cuore della rottamazione renziana diventerà un’espressione cupa ma cruciale contro la quale il presidente del Consiglio cercherà di scagliarsi per guidare una rivolta contro il grande totem dell’austerità europea: il Fiscal compact.

 

Difficilmente, su questo dossier, Renzi userà il verbo “abolire”. Più concretamente il presidente del Consiglio, facendo leva su un sentimento di malcontento diffuso in buona parte d’Europa contro la severa dottrina del pareggio di bilancio, ha intenzione di rimettere in discussione i termini del trattato internazionale, per evitare che la prossima manovra del governo italiano, quella del 2017, una manovra importante, forse la più importante, perché potrebbe essere quella con cui Renzi si presenterà alle elezioni politiche, si trasformi in una camicia di forza, e dunque in un incubo – considerando poi che nel 2017 il governo dovrà trovare un modo per anestetizzare le clausole di salvaguardia sull’Iva e sulle accise che valgono circa 20 miliardi di euro? Finora, il governo italiano ha sempre seguito la logica del rispettare le regole sfruttando fino al massimo tutta la flessibilità prevista dai trattati. Così facendo, sia nel 2015 sia nel 2014, Renzi è riuscito a ottenere dall’Europa qualche decina di miliardi in più da spendere, facendo leva anche su una sfavorevole congiuntura economica che ha di fatto permesso al governo italiano di rinviare di alcuni anni il pareggio di bilancio. Di rinvio in rinvio si arriva così alla data chiave del 2017, anno in cui, come previsto nel 2014 dallo stesso governo Renzi, con un indebitamento netto strutturale previsto per ora inderogabilmente allo 0,3 per cento, dovrà essere mantenuto un rapporto deficit/pil molto basso, pari cioè all’1,1 per cento (oggi è a 2,4). E a differenza del 2015 e del 2014, per Renzi stavolta sarà quasi impossibile, come ammettono riservatamente anche alcuni consiglieri del premier, avere la stessa flessibilità concessa in questi anni, specie se il 2016 dovesse essere un anno di crescita discreta per l’Eurozona (è un paradosso, ma la flessibilità del Fiscal compact scatta solo in presenza di una congiuntura sfavorevole, in caso contrario le regole diventano rigidissime).

 

[**Video_box_2**]Naturalmente, è anche a questo a cui si riferiva il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem quando, due giorni fa, ha lanciato un messaggio velenoso al presidente del Consiglio italiano: “L’Italia ha chiesto varie flessibilità. La flessibilità è un margine, si può usare una volta sola. Non si può esagerare”. Problema: può Renzi permettersi di arrivare con le mani legate alla manovra più importante della sua carriera politica sapendo, tra l’altro, che il prossimo anno sarà ancora più complicato ottenere margini di flessibilità con una Germania che andrà al voto? Risposta negativa. Ed è anche in virtù di questo ragionamento che il presidente del Consiglio sta studiando il momento giusto per costruire in Europa un tavolo di alleanze (non soltanto con i leader progressisti) per lanciare la sua scomunica contro il Fiscal compact. Modificare il Fiscal compact è un processo complicato ed essendo un trattato internazionale andrebbe rinegoziato con tutti gli stati membri. L’intenzione di Renzi è però quella di andare avanti su questa strada e di trasformare la battaglia (vedremo poi in che forme avverrà) nel nuovo collante del renzismo di lotta e di governo. L’idea è quella di gettare con anticipo un sasso nello stagno dell’austerità; di rivolgere un appello ai colleghi europei per combattere i fenomeni di disgregazione dell’Eurozona con atti concreti indirizzati allo stimolo della crescita; di intestarsi una battaglia dalla posizione di forza di chi ha sempre rispettato le regole; e di fare di tutto (compreso violare il Fiscal compact, accettando dunque il rischio di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia) per evitare che il percorso del governo venga ingabbiato da quei vincoli che finora Renzi è riuscito a dribblare ma che dal prossimo anno diventeranno rigidi, come una camicia di forza. La sfida del 2016, dunque, accanto al referendum, è questa. Rinegoziare il Fiscal compact. L’idea c’è. Che Renzi riesca a portarla in porto, poi, è tutta un’altra storia. 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.