Il sindaco di Roma, Ignazio Marino (foto LaPresse)

Cavalluccio Marino

Alessandro Giuli
Non è che qui al Foglio siamo diventati da un giorno all’altro ignaziomariniani, è che ci fanno un po’ schifo alcune ipocrisie. Le disavventure del sindaco di Roma – l’ho scritto pochi giorni fa – potrebbero riempire gli annali delle inadempienze capitoline.

Non è che qui al Foglio siamo diventati da un giorno all’altro ignaziomariniani, è che ci fanno un po’ schifo alcune ipocrisie. Le disavventure del sindaco di Roma – l’ho scritto pochi giorni fa – potrebbero riempire gli annali delle inadempienze capitoline. Il punto è che non è questo il punto: Matteo Renzi vuole abbattere come un cavallo zoppo Marino, per sloggiarlo dal Campidoglio e rifarsi una verginità politica dentro il raccordo anulare, perché teme l’assalto dei pm e della muta di manettari al seguito dell’inchiesta su mafia capitale (così detta), perché annusa un’ariaccia di scioglimento del comune e vuole commissariare Roma, mettere in sicurezza il Pd, trovare un sostituto e gettarlo nell’agone elettorale dell’anno prossimo. Non che sia illecito, ma bisogna avere il coraggio di dirla così. E invece il premier si trincera dietro le mancanze, le leggerezze, le debolezze del sindaco alieno, gli scava la fossa senza rendergli l’onore della verità. Miserie della tarda rottamazione. E Marino che può fare, oltre a opporre una resistenza di facciata, fondata su rivendicazioni fragili e promesse vaghe? Glielo diciamo noi, con il rispetto che si deve a uno storico bersaglio immobile della banda fogliante.

 

Numero uno. Sfidi Renzi e il Pd sul terreno paludoso in cui si sono cacciati, sottragga lui stesso all’inchiesta sul malaffare stracittadino quell’appellativo smisurato e paraculo (mafia), rifiuti il teorema del dottore Pignatone e imponga alla propria maggioranza una rivoluzione di nomi e funzioni nella giunta capitolina.

 

Numero due. Ingaggi il miglior tagliatore di teste-vane in circolazione, per esempio Carlo Cottarelli, lo esibisca come lo sfascia-privilegi che Roma attendeva da anni e che Renzi non ha saputo valorizzare quando fantasticava di revisione della spesa a colpi di slide immaginifiche. Gli affidi il compito di bonificare senza pietà la platea vasta e grassa delle partecipate comunali, la turba dei dirigenti che hanno capovolto la piramide del buon governo cittadino gravando sulle tasche dei contribuenti, gli faccia cancellare sprechi e premi di produzione scandalosi.

 

Numero tre. Prima che sia tardi, si rivolga alla cittadinanza, scavalchi la mediazione dei partiti, proponga e sottoscriva un contratto con i romani centrato su pochi e qualificanti punti di programma, azzerando i proclami irrealizzabili e recuperando un senso operoso delle proporzioni e della propria immagine (magari uscendo spesso dagli uffici, ricevendo meno e passeggiando di più per la città).

 

[**Video_box_2**]Numero quattro. Pretenda e ottenga dalle istituzioni competenti di militarizzare i punti sensibili del degrado metropolitano: stazioni, aeroporti, ospedali, edifici e rioni storici.

 

Numero cinque. Bonifichi la ridicola raccolta della spazzatura en plein air rinunciando a qualche parcheggio blu: ripristini un numero decente di cassonetti differenziati e disposti in modo capillare.

 

Numero sei. Si dia, e ci dia, un termine ragionevole per verificare il divario tra palco e realtà. Basterebbe un anno solare, poi tutti soddisfatti o rimborsati.