Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

La rottamazione che manca a Renzi

Claudio Cerasa
Basta far rotolare teste, ora è il momento di rottamare i tabù del paese. Fisco, giustizia, riforme istituzionali, lavoro, efficienza. Sì alla proposta del Foglio sui migranti. Intervista con Panucci, dg di Confindustria.

Roma. Il governo, l’economia, Roma, la ripresa, il lavoro e la definizione di quella parola. Tre giorni dopo gli schiaffi ricevuti nell’ultimo turno elettorale, e tre giorni dopo aver preso atto che la fase della rottamazione è stata momentaneamente sostituita dalla fase della confusione, per Matteo Renzi il problema resta sempre legato a come declinare quella parolina magica che nell’ultimo anno ha costituito il perno centrale dell’attività di governo. E il punto è proprio quello: oggi che cosa significa rottamare? La fase dolcemente giacobina delle teste degli avversari politici fatte rotolare giù nella cesta del nuovo Pd è finita da un pezzo e a Renzi non resta che mettersi in zucca che in questa fase politica rottamare può avere solo un unico significato: sbarazzarsi dei molti vincoli che tengono legato tanto il governo quanto il paese. E quali sono questi vincoli? Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria, è convinta che ci siano alcuni punti precisi sui quali il governo si gioca la possibilità di rottamare i fattori che inchiodano l’economia e accetta di metterli insieme con il Foglio.

 

“Io credo che, prima di parlare di quali possono essere gli stimoli giusti da dare alla nostra economia, sia necessario lavorare sulla cornice del nostro paese, e credo che in questo senso sia giusto auspicare che l’architettura del nostro sistema istituzionale venga rivista il prima possibile e che la riforma costituzionale, che comprende anche la revisione del titolo V, vada in porto senza tentennamenti. Lo dico sapendo che molti aspetti di quella riforma potrebbero essere migliorati ma con la consapevolezza che chi insegue il perfezionismo insegue spesso l’utopia dell’impossibile, e in questo momento all’Italia serve rapidità più che perfezionismo”.

 

Questo, dice Panucci, sottolineando che, nella sua visione, “per rilanciare la crescita l’Italia ha bisogno che si spinga sia sulla politica di contesto sia sulle politiche dei fattori della produzione”. “Il passaggio successivo, che non può essere ignorato per dare un senso di respiro al paese, è quello di una riforma della Pubblica amministrazione che abbia come epicentro un concetto basilare: per combattere l’illegalità bisogna combattere l’inefficienza e chi non segue questo principio e asseconda un regime di sprechi alimentando l’inefficienza alimenta anche l’illegalità. Non basta dire che servono, è ovvio, regole chiare e trasparenti. Bisogna mettersi in testa un principio culturale che spero venga tradotto anche nei provvedimenti legislativi: la corruzione prolifera dove c’è un’eccessiva regolamentazione, una inaccettabile presenza dello stato nell’economia e grandi carrozzoni alimentati dal pubblico. Penso a molte municipalizzate, per esempio, e a tutte quelle realtà che vivono di sprechi ma che la politica non riesce e non vuole cambiare per evitare di perdere consenso ed equilibri clientelari. Francamente, oggi, questo è diventato insostenibile. E lo stesso ragionamento, se mi è consentito, vale per la giustizia”. Si spieghi. “Non si può dire che la nostra è la Costituzione più bella del mondo senza poi leggerla per intero. Bisogna infatti ricordarsi che la nostra Costituzione dice anche che si è sempre innocenti fino a sentenza di condanna e che la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Se una e dico solo una legge, un provvedimento, viene attuata e portata avanti senza che siano rispettati questi princìpi salta tutto il sistema. Ma anche qui, come per l’ingorgo burocratico, la lentezza amministrativa, l’incertezza della pena, questi elencati sono ingredienti che non permettono di combattere l’illegalità. Non credo che per prevenire la corruzione e altri reati gravi sia sempre necessario aumentare le pene, agendo sull’onda emotiva che attraversa l’opinione pubblica. Credo invece che sia sufficiente garantire la certezza della pena e fare i processi nei tempi prestabiliti ed evitare che si venga a perpetuare un metodo schizofrenico del nostro sistema giudiziario”. Il processo mediatico? “Esattamente, ma le dico di più. A volte capita che la custodia cautelare sia utilizzata non come uno strumento straordinario ma con una finalità punitiva, e capita per una ragione elementare: l’aleatorietà dei tempi del processo porta a usare il martello della custodia cautelare per dare una risposta all’allarme sociale. E questo spiega anche il motivo per cui non si riesca a mettere mano alle intercettazioni, una giungla che aiuta a irrobustire il processo mediatico”.

 

[**Video_box_2**]Anche in Italia le città devono poter fallire

E il lavoro? “Il Jobs Act è uno strumento straordinario che ha permesso alle imprese di riacquistare fiducia e di tornare ad assumere lavoratori a tempo indeterminato. In tutta Europa è riconosciuto che la politica di flessibilizzazione non rende più precario il lavoro ma più forte e più competitivo, quindi la direzione è giusta. Ora bisogna completare la riforma affrontando le politiche attive e passive: il decreto sugli ammortizzatori sociali è coerente con questo disegno. Inoltre, credo sia importante lavorare in modo efficace su una ulteriore riduzione della pressione fiscale sul lavoro, che è stata tagliata ma rimane ancora alta, e più in generale sul sistema fiscale nel suo complesso. Cosa voglio dire? L’Italia è vittima di un federalismo incompiuto che ha allargato la capacità impositiva ma che non ha esteso a tutti le medesime responsabilità. Oggi viviamo nel paradosso che se lo stato centrale diminuisce le tasse, comuni e regioni possono alzarle un minuto dopo e alla fine il gioco diventa a somma zero. Come uscirne? Credo che il modo migliore per responsabilizzare per esempio chi governa un comune sia di accettare anche in Italia un principio che in America è centrale per le amministrazioni pubbliche: il fallimento. Le città devono poter fallire e non si devono salvare a tutti i costi. E questo non riguarda solo Roma, ma tutte le città che hanno conti che non si tengono in piedi. Diventerebbe un deterrente formidabile”. E sul resto?

 

Panucci ci offre anche un ragionamento sulla scuola e sulla necessità, come ricordato qualche settimana fa dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, di “metterci in testa che il nostro è un paese non di materie prime ma di trasformazione e che quindi i veri capitali del nostro paese sono stati e saranno sempre i nostri cervelli”. “Questo – continua – significa che bisogna adeguare il sistema scolastico alle esigenze delle imprese, potenziando l’istruzione tecnica e formando i giovani attraverso il sistema dell’alternanza scuola-lavoro. Significa anche migliorare i sistemi di valutazione per puntare sul merito e sulla responsabilità. Perché troppo spesso si parla nel nostro paese di diritti, molto meno di doveri e responsabilità”. La nostra conversazione si conclude entrando nel merito di un tema che si trova in cima all’agenda politica di questi giorni: l’immigrazione. Due giorni fa il Foglio ha proposto al governo di intestarsi l’opera di pattugliamento, di raccolta e di smistamento dei migranti a nome dell’Europa, chiedendo in cambio un allentamento sul deficit e la possibilità di essere pagati per svolgere a nome dell’Europa il servizio di soccorso, e Panucci dice che potrebbe essere un’idea. “Non credo che sia sufficiente, come proponete voi, di selezionare solo l’isola di Pianosa come centro in cui far confluire tutto il flusso dei migranti ma l’idea è condivisibile: l’Italia, anche per le sue particolari condizioni geografiche, deve diventare il paese che si occupa in prima fila dell’emergenza ma, facendolo a nome dell’Europa, ha il diritto di chiedere un riconoscimento economico. Inviterei poi a guardare anche i dati Istat. Quelli che ci dicono che in Italia muoiono più persone di quante ne nascono. Se l’Italia non vuole trovarsi un domani ad avere un sistema di welfare insostenibile si deve rendere conto che non può più aspettare e deve gestire questo fenomeno trasformandolo in opportunità. Il tempo è poco, bisogna muoversi subito, adesso, come un tempo avrebbe detto qualcuno”.

 

 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.