Pippo Civati (foto LaPresse)

Civati, ma dove vai?

Claudio Cerasa
Pippo esce dal Partito democratico, entra nel Gruppo misto e dice che lavorerà per creare da sinistra un’alternativa al renzismo. Meglio perdere che perdersi, dice. Paradigma di una sinistra Tafazzi.

Vaste programme. Pippo Civati esce dal Partito democratico, entra nel Gruppo misto e dice che lavorerà per creare da sinistra un’alternativa al renzismo a vocazione landiniana. Decisione naturale (è da due anni che Civati l’annunciava, su Google l’espressione “Civati lascia il Pd” viene superata di poco dall’espressione “Montezemolo scende in campo”: 213.000 risultati contro 233.000) e da un certo punto di vista persino più coerente di quei deputati del Pd che hanno votato la sfiducia non solo al premier ma anche a loro segretario. Il contesto di questo Parlamento, a guardar bene, ci dice che una scissione nel Pd era tutto sommato inevitabile, se è vero che dall’inizio della legislatura non c’è stato un solo partito che è riuscito a resistere alla forza centripeta messa in campo da un governo di grande coalizione. Prima è toccato al Pdl. Poi a Sel. Quindi al Movimento 5 stelle. A Scelta civica. Agli stessi scissionisti di Scelta civica. Persino alla Lega. E il Pd, in fondo, era l’unico partito rimasto immune da questo processo di frammentazione.

 

Il fatto poi che un partito di centrosinistra che punta a recuperare voti al centro provochi scissioni a sinistra non è una novità: andò così anche nel 2005 in Germania, per esempio, quando, di fronte al riformismo di Schröder, Oskar Lafontaine decise di uscire dal gruppo dell’Spd e di fondare un partito autonomo. Quel partito si chiamava Die Linke, raggiunse risultati non male (8-12 per cento) ma l’unico risultato che ottenne fu quello di contribuire alla sconfitta nel 2005 dell’Spd di Schröder. Il problema degli scissionisti alla Civati non è solo l’essere fuori dal tempo ma è quello di essere di fronte al più grande degli interrogativi dei nostalgici della sinistra: meglio perdere la vecchia identità, e vincere, o meglio perdere tutto piuttosto che perdere se stessi?  A “Otto e Mezzo” da Lilli Gruber Civati lo ha detto chiaramente: meglio perdere che perdersi. Forse qualcuno seguirà Civati nella sua avventura con Landini (dubitiamo fortissiamente). Ma senza voler entrare troppo nei dettagli della questione, bisogna provare a dire le cose come stanno: il partito della divisione, a sinistra come a destra, è un partito destinato a declinare una vocazione minoritaria. E nell’èra delle vocazioni maggioritarie, declinare la vocazione minoritaria non è solo essere fuori tempo ma è un grazioso suicidio politico. In bocca al lupo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.