Angelino Alfano e Matteo Renzi (foto LaPresse)

La prescrizione non è un'opinione

Alessandro Giuli
Anche gli alfaniani, nel loro piccolo, s’incazzano con Matteo Renzi e denunciano la frantumazione dolosa di un patto sulla giustizia che avrebbe dovuto contenere entro limiti più ragionevoli l’innalzamento dei termini di prescrizione per i reati di corruzione propria, impropria e in atti giudiziari.

Anche gli alfaniani, nel loro piccolo, s’incazzano con Matteo Renzi e denunciano la frantumazione dolosa di un patto sulla giustizia che avrebbe dovuto contenere entro limiti più ragionevoli l’innalzamento dei termini di prescrizione per i reati di corruzione propria, impropria e in atti giudiziari, che dopo il voto di ieri alla Camera sono invece aumentati della metà (se ne riparla in Senato). Area popolare (Alfano più Casini) ha votato contro insieme con Forza Italia; astenuti, per vocazione abitudinaria all’irrilevanza, i pentastellati. C’è stato clangore, prima del voto finale sull’articolo 1 del ddl che innalza i tempi di prescrizione, quando l’Aula ha bocciato l’emendamento soppressivo del testo presentato dal capogruppo in commissione Giustizia di Area popolare,
Alessandro Pagano, e altri due emendamenti identici. I voti contrari sono stati numerosi (337) e hanno provocato l’ira minacciosa dei centristi, rintuzzata a fatica dal ministro della Giustizia Andrea Orlando.

 

Il malumore degli alfaniani s’intensifica, et pour cause, all’indomani del siluramento di Maurizio Lupi dal ministero delle Infrastrutture. E’ evidente che quelle di Ncd sono minacce ad alzo zero, sì, ma sparate a salve, nell’attesa di negoziare una contropartita ministeriale per il dopo Lupi e nella realistica convinzione di non poter separare i propri destini da quelli del governo.

 

Ma ci sono dei ma. Renzi ha dimostrato una volta ancora che il suo tasso di spregiudicatezza è pronto a innalzarsi fino alla soglia delle maggioranze variabili, e per di più su un dossier rovente come la giustizia, con i grillini per ora fermi al ruolo d’interdizione demolitoria contro le intemerate garantiste dei moderati, ma più avanti chissà. Il premier sta scommettendo in modo un po’ spericolato sulla possibilità che la sua durezza sui reati di corruzione gli valga come un contrappeso granitico per rendere più credibile, e meno aggredibile, il percorso di riforme del potere giudiziario (vedi alla voce responsabilità civile dei magistrati). Ma fossimo in lui non daremmo per scontato che l’episodio di ieri possa essere serenamente utilizzato come una sorta di lasciapassare per tenere a distanza le rivendicazioni corporative della casta giudiziaria. La disintermediazione dei rapporti di forza in Parlamento è un esperimento suggestivo e legittimo, ma a furia di bastonare troppo la (pur piccina) nomenclatura degli interlocutori-alleati, si rischia di finire isolati, se non di ammanettarsi a compagni di strada rivestiti di toghe.